n. 18: Nuova evangelizzazione e media
PROPOSIZIONE 18: NUOVA EVANGELIZZAZIONE E MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE
L’uso di mezzi di comunicazione sociale ha un ruolo importante da giocare per raggiungere ogni persona con il messaggio della salvezza. In questo campo, specialmente nel mondo di comunicazioni elettroniche, è necessario che cristiani convinti vengano formati, preparati e resi capaci a trasmettere fedelmente il contenuto della fede e della morale cristiana. Devono avere la capacità di utilizzare bene le lingue e gli strumenti di oggi che sono disponibili per la comunicazione nel villaggio globale.
La forma più efficace di questa comunicazione della fede rimane la condivisione della testimonianza di vita, senza cui gli sforzi dei media non si tradurranno in una trasmissione efficace del Vangelo. L’educazione ad un utilizzo razionale e costruttivo dei mezzi di comunicazione sociali è uno strumento importante per la nuova evangelizzazione.
La comunicazione sociale è una componente essenziale della nuova evangelizzazione. È perciò un diritto-dovere della Chiesa adoperarsi affinché la comunicazione sociale sia più autentica, rispettosa della verità, attenta alla dignità della persona, nella consapevolezza che la comunicazione della fede passa in larga misura anche attraverso di essa. In tutta l’azione della Chiesa è richiesta una maggiore attenzione per un ricorso sapiente e originale ai media, nel quadro di una pastorale organica delle comunicazioni sociali. Infatti, per situarsi nel cuore del progresso umano cercando di capirlo ed interpretarlo e per affrontare i problemi della comunicazione della fede nella società dominata dai media, non basta affinare gli strumenti o affidarsi alle nuove tecnologie; è indispensabile cogliere le sfide culturali lanciate alla società e alla Chiesa dal nuovo orizzonte comunicativo.
Servono a poco le iniziative estemporanee ed episodiche. È urgente, piuttosto, sviluppare una progettazione pastorale coerente e incisiva. Numerose sono state sino ad oggi le indicazioni del Magistero che dal Concilio Vaticano II non ha perso occasione per sottolineare il nesso profondo tra la missione della Chiesa e le comunicazioni sociali. Una significativa presa di coscienza in merito è emersa per la Chiesa in Italia al Convegno ecclesiale di Palermo, come testimoniano gli impegni poi assunti dall’episcopato: «Intendiamo promuovere in ogni diocesi una pastorale organica della comunicazione sociale, con ufficio diocesano adeguato e animatori ben preparati, per curare la formazione dei sacerdoti, dei comunicatori e degli utenti» (CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 29). Nell’ottica di una pastorale integrata occorre prevedere un percorso di educazione alla comunicazione, propositiva e critica nei confronti dei media e nello stesso tempo attenta all’evoluzione dei suoi linguaggi. Ogni progetto pastorale deve tener conto dei rapporti tra linguaggio della fede e nuovi linguaggi mediali. È la logica degli stessi orientamenti pastorali per il primo decennio del Duemila, che della comunicazione fanno una prospettiva specifica con cui deve coniugarsi l’evangelizzazione: «Le iniziative avviate in questi anni dalla Chiesa in Italia per raccordare e promuovere la comunicazione in campo ecclesiale e per rendere più incisiva la presenza della Chiesa nei media dovranno trovare in questo decennio un’ulteriore realizzazione nel quadro di un’organica pastorale delle comunicazioni sociali e nella prospettiva del progetto culturale»(CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 39).
Come può operare la Chiesa all’interno della nuova cultura? Ad un contesto sempre più complesso, segmentato e pluralistico, si aggiunge il profilo multietnico e multireligioso. Quali forme e indirizzi devono assumere l’evangelizzazione, la catechesi e la formazione?
Nell’individuare le risposte, la Chiesa è consapevole che la sua vita di comunione, come la sua capacità di rispondere alle domande, cresce anche per l’apporto prezioso delle comunicazioni sociali. Pertanto tutti i suoi membri devono familiarizzare con gli strumenti mediatici e in particolare con i nuovi media.
Una tale prospettiva di impegno comporta la ridefinizione del profilo di tutta l’azione pastorale, compito che non può essere affidato esclusivamente ad alcuni esperti o ai soli addetti del settore.
Sono coinvolte l’intera comunità ecclesiale e la responsabilità dei suoi pastori. L’analisi e il progetto riguardano tutte le componenti della comunità ecclesiale. Non si tratta tanto di inventare cose nuove, quanto di cominciare a dare nuovo vigore a ciò che in molti casi già esiste, ma nei confronti della nuova cultura si trova impotente, spuntato, afono. Il nodo del problema risiede nel legame tra cultura e i mezzi di comunicazione: «L’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in larga parte dal loro influsso. […] Occorre integrare il messaggio stesso in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna» (Pontificio Consiglio Cultura, Per una pastorale della cultura, 9).
Oltre all’aspetto cultura e mezzi di comunicazione per poter entrare in dialogo con il mondo e nel mondo, non è da sottovalutare il tema educativo rispetto all’uso dei media.
Il lettore, il telespettatore, il radioascoltatore, il navigatore della rete internet è il vero protagonista della comunicazione. Chi fruisce dei prodotti mediali può sancirne il successo o il fallimento. Su di essi, con l’obiettivo di affinarne le capacità critiche e le aspettative culturali, occorre intervenire per migliorare la qualità dei media e la loro corretta fruizione. Tutti, e in particolare le nuove generazioni, dovranno essere in grado di interagire con l’universo dei media in modo critico e creativo, acquisendo una nuova “competenza mediale” per essere a pieno titolo cittadini di questo tempo (cfr PONTIFICIA COMMISSIONE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI, Communio et progressio, 48). Ogni agenzia educativa dovrà farsi carico di questo compito: la famiglia, la parrocchia, la scuola, le associazioni. La Chiesa ha raccomandato con insistenza l’educazione ai media a partire dal decreto conciliare Inter mirifica: «Poiché il retto uso degli strumenti della comunicazione sociale, che sono a disposizione di recettori di ogni età e preparazione culturale, esige una loro adatta e specifica preparazione teorica e pratica, le iniziative atte a questo scopo – soprattutto se destinate ai giovani –, siano favorite e largamente diffuse nelle scuole cattoliche di ogni grado, nei seminari e nelle associazioni dell’apostolato dei laici, e vengano ispirate ai principi della morale cristiana» (CONCILIO VATICANO II, Inter mirifica, 16).
A questa responsabilità educativa non è legittimo sottrarsi. Lo sviluppo delle tecnologie comunicative comporta nuove competenze critiche ed esige una reale partecipazione democratica. Diviene sempre più urgente formare sia i destinatari che i comunicatori sulla base dei principi cristiani (Cf PONTIFICIA COMMISSIONE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI, Communio et progressio, 63-70.107). In particolare «le università, i collegi, le scuole e i programmi educativi cattolici a tutti i livelli dovrebbero offrire corsi a vari gruppi, seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose o animatori laici […], insegnanti, genitori e studenti, così come una formazione più avanzata in tecnologia, gestione, etica e politica delle comunicazioni a coloro che si preparano a operare nell’ambito dei mezzi di comunicazione sociale o a svolgere ruoli decisionali, inclusi quanti operano nel campo delle comunicazioni sociali della Chiesa» PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, La Chiesa e Internet, 11). È fondamentale, inoltre, che nelle istituzioni formative cattoliche ci siano sempre più ricercatori e studiosi che sappiano affrontare e approfondire tematiche inerenti le questioni culturali legate all’incidenza dei media e delle nuove tecnologie.
Maria Grazia Rasia
n. 22: La conversione
PROPOSIZIONE 22: LA CONVERSIONE
Il dramma e l’intensità dello scontro di sempre tra il bene e il male, tra la fede e la paura, devono essere presentati come lo sfondo essenziale, come un elemento costitutivo della chiamata alla conversione a Cristo. Questa lotta continua ad un livello naturale e soprannaturale. “Quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,14). Molti vescovi hanno parlato del bisogno di rinnovamento in santità nelle loro proprie vite, se vogliono essere degli agenti veritieri ed efficaci della nuova evangelizzazione.
La Nuova evangelizzazione richiede una conversione personale e comunitaria, nuovi metodi di evangelizzazione e un rinnovamento delle strutture pastorali, per essere capaci di passare da una strategia pastorale di mantenimento ad una posizione pastorale che è veramente missionaria.
La Nuova evangelizzazione ci guida verso una autentica conversione pastorale che ci spinge ad attitudini ed iniziative che portano a valutazioni e cambiamenti nella dinamica di strutture pastorali che non rispondono più alle esigenze evangeliche dell’epoca attuale.
Il tema della conversione è molto ampio e comprende diversi aspetti: ne evidenzio almeno tre, la conversione di chi desidera diventare cristiano, la conversione personale dei cristiani per rendere una testimonianza evangelica efficace, ed infine una conversione pastorale che miri ad adeguare l’annuncio evangelico alla situazione attuale e non a “difendere” le proprie strategie o metodi pastorali superati o comunque adatti ad un contesto sociale cristiano, tenendo conto delle indicazioni autorevoli del Magistero. Oggi, l’abbiamo compreso nel nostro percorso di lettura delle proposizioni sinodali fin qui svolto ma è un richiamo che arriva ancor prima dal Vaticano II, la sfida che sta davanti alla Chiesa è proprio quella di un annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo in qualsiasi latitudine esso si trovi a vivere.
1. L’annuncio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all’adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità (ndr proposizione 4): è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e “confessarlo” (cfr 1Cor 12,3). Di chi si accosta a Lui mediante la fede, Gesù dice: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). La conversione determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l’esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla “vita secondo la carne”, alla “vita secondo lo Spirito” (Rm 8,3-13). Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli.
Oggi l’appello alla conversione è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di “proselitismo”; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la “buona novella” di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione (ndr proposizioni 6 e 9). La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio”, e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete” (Gv 4,10.15).
2. Conversione personale permanente. La sintesi programmatica della predicazione di Gesù nel Vangelo di Marco è enunciata solennemente e nettamente: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Fede e conversione vanno di pari passo. Accogliere e vivere di fede significa entrare in un nuovo orizzonte di pensiero e adottare un nuovo stile di vita. Anche la nostra immagine di Dio deve essere convertita nell’incontro con Cristo. Non è la nostra idea di Dio che integra l’annuncio cristiano, ma è il Dio di Gesù Cristo, che egli porta e annuncia, a stravolgere e soppiantare – o almeno ad assorbire o purificare – la nostra immagine di Dio. E come l’immagine di Dio, anche la nostra immagine dell’uomo, della società, del mondo intero e delle correlative esigenze nell’agire ha bisogno di conversione.
Può evangelizzare solo chi a sua volta si è lasciato evangelizzare, chi è capace di lasciarsi rinnovare spiritualmente dall’incontro e dalla comunione vissuta con Gesù Cristo. Può trasmettere e testimoniare la fede, come afferma S. Paolo: “Ho creduto, perciò, ho parlato” (2 Cor 4,13). In questo senso la Nuova Evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale. E’ un compito di cristiani che perseguono la santità.
3. Conversione pastorale. Di fronte agli scenari della Nuova Evangelizzazione, i testimoni per essere credibili devono saper parlare il linguaggio del loro tempo annunciando così dal di dentro la ragione della speranza che li anima (cfr 1 Pt 3,15). Un simile compito non può essere immaginato in modo spontaneo, richiede attenzione, educazione e cura. A questo punto del discorso noi, italiani, non possiamo non ricordare le indicazioni che i nostri Vescovi, più volte nell’arco degli ultimi vent’anni, ci hanno rivolto in questo senso.
Come non ricordare, ad esempio, nel programma pastorale del primo decennio del 2000 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia la chiara indicazione che per dare concretezza alle decisioni pastorali occorre operare una conversione pastorale? Tra l’altro questo termine e sollecitazione ci veniva ancor prima ribadita nella nota pastorale della CEI Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo, 1996.
In CVMC al n. 46 si afferma: “… per imprimere un dinamismo missionario, vogliamo delineare due livelli specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali …
Il primo livello verificare e correggere il modo di vivere e celebrare il Giorno del Signore (compresi il tempo e lo spazio per una comunità che concretamente vive in un dato luogo), il secondo livello il verificare e lavorare per una fede adulta e pensata, la qualità della formazione cristiana, gli itinerari di iniziazione cristiana e di catecumenato”.
Ancora in modo più preciso, i medesimi orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000, al numero 59 affermano: “La comunità cristiana dev’essere sempre pronta a offrire itinerari di iniziazione e di catecumenato vero e proprio. Nuovi percorsi sono richiesti infatti dalla presenza non più rara di adulti che chiedono il battesimo, di “cristiani sulla soglia” a cui occorre offrire particolare attenzione, di persone che hanno bisogno di cammini per “ricominciare”. La nostra conversione pastorale è, in qualche misura, già in atto ed è sollecitata dai cambiamenti nella società e di fronte alla fede. Ci è richiesta intelligenza, creatività, coraggio. Occorrerà impegnare le nostre migliori energie in questo campo, mediante una riflessione teologico-pastorale e attraverso l’individuazione di concrete e significative proposte nelle nostre comunità … al centro di tale rinnovamento va collocata la scelta di configurare la pastorale secondo il modello della iniziazione cristiana, che – intessendo tra loro testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità – permette di dare unità alla vita della comunità e di aprirsi alle diverse situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si riaccostano al Vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano”.
Inoltre, invito le consorelle ausiliarie diocesane, a ricordare e a recuperare gli appunti dell’incontro con Mons. Renato Corti (al tempo vice presidente della CEI per l’Italia Settentrionale) che il 17-12-2001 tenne a Seveso proprio per presentare al nostro Istituto tale documento programmatico della CEI illustrandoci le prospettive del cammino della Chiesa italiana verso una pastorale di missione.
A questo punto, viene spontaneo far emergere dal cuore un rispettoso ringraziamento al Magistero dei Vescovi Italiani per le indicazioni pastorali date alle nostre Chiese, notando una lungimiranza nella lettura della situazione ecclesiale non indifferente! Infatti, proprio ora, i padri sinodali nella espressione delle proposizioni finali che riguardano l’intera Chiesa universale , giungono alle medesime considerazioni e urgenze.
E non da ultimo, non solo per onestà intellettuale ma per una obbedienza al cammino di Chiesa che è chiesto, occorre riconsiderare il magistero del cardinale Tettamanzi che dal percorso pastorale Mi Sarete Testimoni in poi, ha sollecitato la nostra Chiesa Diocesana alle stesse urgenze e nei diversificati aspetti sopra enunciati. Per aiutare la memoria, si può attingere al sito diocesano sotto il nome dell’Arcivescovo emerito, e rivedere tutto il percorso teologico-spirituale-pastorale indicato a ogni singola comunità locale.
In questa luce, è utile la “rilettura” fatta dall’attuale Arcivescovo card. Scola nella lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, pp. 15-18 n.3 Eredi di un patrimonio inestimabile.
Come non leggere una sollecitazione dello Spirito Santo nell’azione evangelizzatrice della Chiesa universale, diocesana e locale?
Maria Grazia Rasia
n. 23: Santità e nuovi evangelizzatori
PROPOSIZIONE 23: SANTITÀ E NUOVI EVANGELIZZATORI
La chiamata universale alla santità è costitutiva della Nuova Evangelizzazione, che vede i santi come modelli efficaci della varietà e forme in cui questa vocazione può essere realizzata. Ciò che è comune nelle diverse storie della santità, è la sequela di Cristo che si esprime in una vita di fede attiva nella carità che è una proclamazione privilegiata del Vangelo.
Noi riconosciamo in Maria un modello di santità che si manifesta negli atti di amore, che vanno fino al dono supremo di se stesso. La santità è una parte importante di ogni impegno evangelizzatore per colui che evangelizza e per il bene di coloro che sono evangelizzati.
Il contesto di emergenza educativa in cui ci troviamo dà ancora più forza alle parole di Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. (…) E’ dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità” (EN n. 41).
Qualsiasi progetto di nuova evangelizzazione, qualsiasi progetto di annuncio e di trasmissione della fede non può prescindere da questa necessità: avere uomini e donne che con la loro condotta di vita danno forza all’impegno evangelizzatore che vivono. La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni evangelizzatore è autenticamente tale solo se si impegna nella vita della santità: “La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 17).
Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo “ardore di santità” fra gli evangelizzatore e in tutta la comunità cristiana.
Del resto lo slancio missionario delle prime comunità cristiane insegna. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e comunicazione di allora, l’annunzio evangelico raggiunge in breve tempo i confini del mondo. E si trattava della religione di un Uomo morto in croce, “scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili” (1 Cor 1,23)! Alla base di tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità.
L’evangelizzatore è un “contemplativo in azione”. Egli trova risposta ai problemi nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Se non si è contemplativi, non si può annunziare Cristo in modo credibile.
L’evangelizzatore è il testimone per eccellenza dell’esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: “ Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita …, noi lo annunziamo a voi” (1 Gv1,1-3).
L’evangelizzatore è l’uomo delle beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le beatitudini, attuate nella vita apostolica (Mt 5,1-12). Solo vivendo le beatitudini l’evangelizzatore sperimenta e dimostra concretamente che il regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto.
Inoltre la caratteristica che emerge in modo chiaro nella vita di chi evangelizza è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l’annunziatore della buona novella deve essere un uomo o una donna che hanno trovato in Cristo la vera speranza.
Consapevoli del bisogno di senso dell’uomo di oggi, teniamo “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), vogliamo custodire nella memoria e nei cuori come un bene prezioso i tesori di sapienza e i moniti accumulati nei cinquant’anni trascorsi dal grande evento del Concilio Vaticano II, nei vent’anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Tutto questo ci fa avvertire l’urgenza di rinnovare e approfondire la nostra collaborazione alla missione di Cristo. L’amore di Cristo ci spinge ad annunciare la speranza a tutti i fratelli e sorelle che incontriamo: Cristo è risorto, la morte è vinta, e vi sono ancora migliaia di uomini che accettano di morire per testimoniare la verità della risurrezione di Cristo.
La chiamata alla conversione (ndr proposizione 22) e l’eloquenza della santità sono un invito chiaro rivoltoci nel metterci a servizio della missione dell’Inviato del Padre, assumendo per intero la vocazione battesimale.
Maria Grazia Rasia
n. 24: Dottrina sociale della Chiesa
PROPOSIZIONE 24: DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Per promuovere una Nuova Evangelizzazione nella società, maggiore attenzione deve essere data alla Dottrina Sociale della Chiesa, comprendendo che si tratta di un annuncio e di una testimonianza di fede, un mezzo insostituibile di educazione alla fede (cfr Caritas in Veritate n. 15).
Questa adesione alla Dottrina Sociale della Chiesa deve permeare il contenuto di catechesi, educazione cristiana, formazione dei seminaristi e dei religiosi, la formazione permanente di vescovi e sacerdoti e in modo particolare la formazione dei laici.
Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa è una risorsa preziosa nella realizzazione di questa formazione permanente.
Non sorprende la sottolineatura dei padri sinodali circa l’urgenza a una formazione sulla Dottrina Sociale della Chiesa che riguarda un po’ tutti gli stati di vita nella comunità ecclesiale: in effetti è un tema di annuncio trascurato, e il richiamo ad essa è importante proprio perché la Nuova Evangelizzazione è rivolta all’uomo di oggi, quindi alla società e alla cultura contemporanea.
Ci sono delle “resistenze” rispetto a questo insegnamento della Chiesa: personalmente penso che ci si trovi più in accordo riguardo al Mistero della Santissima Trinità che non attorno ai temi della Dottrina Sociale della Chiesa! E se vogliamo essere ancora più onesti, dovremmo ricordare le “pungenti” parola del nostro Arcivescovo Scola, quando nell’omelia della celebrazione dello scorso 2 Febbraio in S. Ambrogio, ha ricordato ai consacrati presenti “che spesso anche noi guardiamo il Catechismo della Chiesa Cattolica con supponenza!”… Verissimo! Purtroppo, a volte, riteniamo questi strumenti fondamentali dell’insegnamento della Chiesa per l’annuncio evangelico sorpassati o superflui perché “noi sappiamo cosa dire e fare …” (sigh!), cioè ci basiamo sulla nostra personale esperienza (umana, spirituale e pastorale), non ritenendo che il tesoro bimillenario della comunità ecclesiale e il lavoro cui lo Spirito Santo indica ai Pastori che ci guidano, attualizzando l’oggi del Vangelo, sia importante.
Eppure non dobbiamo dimenticare che, proprio perché cattolici, gli insegnamenti del Magistero non sono affatto secondari nel modo di vivere la fede cristiana, l’appartenenza stessa alla comunità cristiana e il modo di intendere tutta la vita stessa!.
Approfondiamo meglio: sottovalutare, per esempio, la Dottrina Sociale della Chiesa significa sottovalutare la virtù teologale della Carità. A riguardo, ricordiamo le parole di Papa Benedetto XVI nella Lettera Enciclica Caritas in veritate del 2009: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. (…)
Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione,segnata da S. Paolo, della “veritas in caritate” (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della “caritas in veritate”. La verità va cercata, trovata ed espressa nell’”economia”della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità …
Nell’attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti,m utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo …
L’amore nella verità – caritas in veritate – è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede (ndr proposizione 17) è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. (…) La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende “minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati”. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza”.
Maria Grazia Rasia
n.26: Parrocchie ed altre realtà ecclesiali
PROPOSIZIONE 26: PARROCCHIE ED ALTRE REALTÀ ECCLESIALI
I Vescovi riuniti in Sinodo affermano che la parrocchia continua ad essere la prima presenza della Chiesa nei quartieri, il luogo e lo strumento della vita cristiana, che è capace di offrire delle opportunità per il dialogo tra gli uomini, per ascoltare ed annunciare la Parola di Dio, per una catechesi organica, per una formazione alla carità, per preghiera ed adorazione e celebrazioni eucaristiche gioiose. Inoltre, i padri sinodali vogliono incoraggiare le parrocchie a scoprire vie per orientare se stesse ad una maggiore enfasi sull’evangelizzazione, che potrebbe includere missioni parrocchiali, dei programmi di rinnovamento delle parrocchie e dei ritiri parrocchiali. La presenza e l’azione evangelizzatrice di associazioni, movimenti e di altre realtà ecclesiastiche sono degli utili stimoli per la realizzazione di questa conversione pastorale. Le parrocchie, come le realtà ecclesiali tradizionali e nuove, sono chiamate a rendere visibili la comunione della Chiesa particolare riunita attorno al Vescovo.
Al fine di portare a tutti la Buona novella di Gesù, come richiesto dalla Nuova Evangelizzazione, tutte le parrocchie e le loro piccole comunità dovrebbero essere delle cellule viventi, dei luoghi per promuovere l’incontro personale e comunitario con Cristo, per sperimentare la ricchezza della liturgia, per dare una formazione cristiana iniziale e permanente, e per educare tutti i fedeli in fraternità e carità specialmente verso i poveri.
Innanzitutto bisogna credere nel valore della parrocchia ancora oggi. Non solo perché i Vescovi la ripropongono con convinzione, ma perché la sua presenza rimane una potenzialità di prima grandezza per la vita della Chiesa. “La parrocchia, in particolare, - essi scrivono - vicina al vissuto delle persone e agli ambienti di vita, rappresenta la comunità educante più completa in ordine alla fede. Mediante l’evangelizzazione e la catechesi, la liturgia e la preghiera, la vita di comunione nella carità, essa offre gli elementi essenziali del cammino del credente verso la pienezza della vita in Cristo”. (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n 39).
La varietà delle forme di azione pastorale, che annovera per esempio le attività specifiche di associazioni o movimenti ecclesiali e le varie iniziative della pastorale d’ambiente, non deve lasciare aperti equivoci sul primato della parrocchia per la vita della Chiesa. Essa rimane l’avamposto della natura misterica e sacramentale della Chiesa nella sua apertura universale. Non è il luogo di appartenenze elettive, ma lo spazio dell’accoglienza senza riserve e dell’invito senza esclusioni di sorta, salvo per coloro che non sono disposti a indossare l’abito nuziale (cfr Mt 22,12), cioè a intraprendere un cammino serio di conversione e di crescita nell’esperienza del credere.
La parrocchia ha una responsabilità il cui tradimento più grave è rappresentato dalla sfiducia e dallo scoraggiamento di chi vi opera, a cominciare dai presbiteri. E’ una mancanza di fede lasciarsi impressionare dalle difficoltà che comporta la pastorale parrocchiale. Bisogna credere fermamente nel potere di ciò che trattiamo: la Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la comunità: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). In realtà tale fiducia e coraggio rappresenta anche la prima opera educativa. Lascia ben poca traccia una istruzione catechistica – pur imprescindibile – trasmessa in un contesto spiritualmente povero, privo di coerenza e di entusiasmo, anche se non bisogna omettere che vale anche l’inverso.
La vita si trasmette con la vita, e la fede con la fede. Scrive Romano Guardini: “La vita viene destata e accesa solo dalla vita. La più potente “forza di educazione” consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere … E’ proprio il fatto che io lotto per migliorarmi ciò che dà credibilità alla mia sollecitudine pedagogica per l’altro” (R. Guardini, La credibilità dell’educatore, in Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, La Scuola, Brescia, 1987, pp. 221-236).
Maria Grazia Rasia
n.27: Educazione
PROPOSIZIONE 27: EDUCAZIONE
“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). L’educazione è una dimensione costitutiva dell’evangelizzazione. Proclamare Gesù Cristo risorto, è accompagnare tutti gli esseri umani nella loro storia personale, nel loro sviluppo e nella loro vocazione spirituale. L’educazione deve, allo stesso tempo, promuovere tutto quello che è vero, buono e bello che fa parte della persona umana, vale a dire, educare lo spirito e le emozioni ad apprezzare la realtà.
I bambini, gli adolescenti e i giovani hanno il diritto di essere evangelizzati ed educati. Le scuole ed università cattoliche rispondono in questo modo a questa esigenza. Le istituzioni pubbliche devono riconoscere e sostenere questo diritto.
Le scuole devono assistere le famiglie nell’introdurre i bambini nella bellezza della fede. Le scuole offrono una grande opportunità di trasmettere la fede o almeno di farla conoscere. I padri sinodali sono grati per il lavoro educativo svolto da migliaia di insegnanti, uomini e donne, nelle istituzioni educati che cattoliche dei cinque continenti.
A causa del ruolo singolare degli insegnanti, è importante che ricevano una formazione permanente nell’esercizio delle loro responsabilità. Le scuole devono essere libere di insegnare. Questa libertà è un diritto inalienabile.
Pertanto, al fine di assicurare che le nostre istituzioni siano agenti di evangelizzazione e non solo dei prodotti di evangelizzazione, il Sinodo:
- incoraggia le istituzioni educative cattoliche a fare tutto il possibile per preservare la loro identità come istituzioni ecclesiastiche;
- invita tutti gli insegnanti ad abbracciare la leadership che è in loro in quanto discepoli battezzati di Gesù, dando testimonianza attraverso la loro vocazione di insegnanti;
- esorta le Chiese particolari, le famiglie religiose e tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni educative a facilitare la corresponsabilità dei laici, offrendo una formazione ed un accompagnamento adeguati a questo scopo.
In questo decennio pastorale, la Chiesa Italiana si trova a riflettere, vivere e lavorare, proprio sul tema educativo, nella molteplice prospettiva di forme e attenzioni quindi, nel commento alla presente proposizione, cerco di tener conto proprio della riflessione fin qui maturata e delle prospettive future.
Di per sé educazione ha soprattutto una connotazione antropologica, sociale e culturale. Non perché non esista una pedagogia religiosa o quella che viene chiamata educazione alla fede, ma perché queste sono applicazioni derivate rispetto al compito di annuncio e di predicazione, rispetto al cammino di conversione e di crescita nella fede verso la santità della vita.
A stretto rigor di termini, l’espressione “educazione alla fede” può suonare perfino equivoca, se dimentica che la fede è suscitata dallo Spirito del Risorto e comunicata pienamente con l'evento battesimale, e perciò accolta in una scelta consapevole di libertà; essa non può essere l’esito di un progetto pedagogico. Certo la fede ha bisogno di essere accompagnata e coltivata, può essere favorita o ostacolata, ma il soggetto proprio e principale anche della sua maturazione è divino, sebbene la libera accoglienza sia mediata ecclesialmente, cioè tramite la Parola, i Sacramenti, il servizio del ministero ordinato e la fraternità credente.
Possiamo, allora, parlare di educazione in riferimento alla fede nel senso del servizio ecclesiale con cui essa viene sostenuta e accompagnata nei membri della comunità e di quanti entrano in contatto con essa.
In tal caso, è tutta la comunità che educa e tutta la comunità che ha bisogno di essere educata (adulti e famiglie compresi! Vedi proposizione 28). Infatti, chi predica e celebra ha forse meno bisogno di coltivarsi rispetto a quelli che ascoltano e ricevono i Sacramenti? Niente affatto. Nella Chiesa tutti abbiamo bisogno di essere aiutati e tutti abbiamo il dovere di aiutare gli altri a credere. Tutti siamo aiutati con gli stessi strumenti - la Parola, i Sacramenti, la vita comunitaria - e tutti aiutiamo i fratelli; solo che questo aiuto non lo prestiamo gli uni gli altri alla stessa maniera né con la medesima efficacia. Infatti, solo il ministero ordinato ha il potere di compiere quelle azioni presidenziali e sacramentali che servono a coltivare la vita di grazia e a far crescere in essa, mentre a ogni fedele è affidata la responsabilità di testimoniare con la parola e con la vita quella fede che tiene viva in sé e vuole veder crescere in altri. Quanto all’efficacia, fatto salvo il primato della grazia di Dio e la sua potenza, essa è tanto maggiore quanto più grande è la santità di chi parla e agisce.
L’educazione diventa una forma di svolgimento della missione cristiana, propriamente là dove l’accompagnamento del cammino credente si incrocia con il processo di maturazione umana che porta un bambino, un ragazzo, un giovane a diventare adulto nella fede. Quando la proposta dell’annuncio cristiano deve essere assunto dentro il processo di formazione di una persona, lì l’educazione non può che essere anche accompagnamento pedagogicamente qualificato nella maturazione della fede. Si scopre così il significato unificante dell’accoglienza dell’esperienza credente. “In questo quadro – dicono gli orientamenti pastorali – si inserisce a pieno titolo la proposta educativa della comunità cristiana, il cui obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto in relazione, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino” (CEI, Educare alla vita buona del vangelo, 15).
La fede non si aggiunge come un completamento o un abbellimento o un rivestimento rispetto a un’esperienza e a una visione della vita perseguite e realizzate indipendentemente da essa. Una cosa simile sarebbe inservibile e, in ogni caso, nulla avrebbe a che fare con la fede cristiana. Questa non è una forma di verniciatura religiosa su un’identità umana autonoma, bensì il principio di una nuova identità, di un nuovo modo di essere umani, di stare al mondo, di relazionarsi con se stessi, con gli altri, con l’universo intero e tutto ciò che esso contiene, e anche con Dio; il Dio di Gesù Cristo, infatti, è il Padre del crocifisso risorto nello Spirito Santo, e non semplicemente la variante religiosa di una astratta figura teistica. “La fede, infatti – sono ancora i Vescovi italiani a parlare – è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore. Caratterizzata dalla fiducia nella ragione, l’educazione cristiana contribuisce alla crescita del corpo sociale e si offre come patrimonio per tutti, finalizzato al perseguimento del bene comune” (CEI, Educare alla vita buona del vangelo,15).
Per una più accurata riflessione/approfondimento sul tema della scuola/università rimando la lettura ai nn. 46-49 degli Orientamenti Pastorali sopra citati.
Maria Grazia Rasia
n. 28: Catechesi degli adulti
PROPOSIZIONE 28: CATECHESI DEGLI ADULTI
Non si può parlare di Nuova Evangelizzazione se la catechesi degli adulti è inesistente, frammentata, debole o trascurata. Quando questi difetti sono presenti, il ministero pastorale affronta una sfida molto seria.
Le tappe e i livelli del catecumenato della Chiesa mostrano come, sul piano biblico, catechetico, spirituale e liturgico, la storia di una persona e il suo cammino di fede possono essere intesi come una vocazione attraverso la sua relazione con Dio (cfr EN n 18).
In tutto questo, il carattere pubblico della decisione di fede che prende il catecumeno, che cresce gradualmente nella comunità e nella diocesi, ha un impatto positivo su tutti i fedeli.
Con tutta verità possiamo affermare che l’ambito della catechesi degli adulti è pressoché “dimenticato”, oppure a volte, “temuto” perché vi è da curare un aspetto relazionale che ci porta a rapportarci con altri adulti. Tutt’al più, nelle comunità cristiane che manifestano un minimo di sensibilità circa la formazione degli adulti, raggiungiamo la categoria di “gruppo di ascolto” biblico, che sono però traducibili in espressioni di primo annuncio. Come detto il primo annuncio, sta a fondamento di un percorso di fede. Ma dopo aver accolto il primo annuncio, è necessario un secondo, e via così fino ad affermare l’indispensabilità di una formazione catechetica per adulti permanente. Permanente perché si è vivi! Ed è una particolarità della fede cristiana il saper “rispondere”, motivare, ogni aspetto della vita umana. Per fare questo, oltre a un costante riferimento biblico, è necessario curare il modo con cui ci si rapporta con Dio nella preghiera, principalmente nella espressione Liturgica, tener conto del Magistero, della Tradizione della Chiesa in tutti i suoi aspetti (vita della comunità,spiritualità, morale, caritativa, testimonianza, ecc.) perché una personalità adulta nella fede sia sostenuta e cammini verso la santità.
I padri sinodali si riferiscono al catecumenato, in quanto il modello catecumenale è il modello di ogni impostazione catechistica. La Chiesa antica iniziò a celebrare la traditio e la redditio del Simbolo di fede e del Padre nostro. Questa struttura è straordinariamente semplice ed efficace, perché rispondente alla verità: chi diviene credente impara a credere ciò che crede la Chiesa (Credo), riceve nella liturgia la grazia di essere figlio di Dio (Sacramenti), prega Dio perché è abilitato al dialogo con Lui (Padre Nostro).
Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica si basa su tale schema quadripartito che la Tradizione cristiana ha elaborato nel corso dei secoli.
La quadripartizione catecumenale non è una semplice questione dei contenuti fondamentali della fede; essa esprime anche le dimensioni dell’esistenza cristiana. In questo modo determina le strutture portanti della catechesi. La catechesi illumina la fede, la celebrazione, la conversione, la preghiera personale e, conseguentemente, si concretizza in momenti formativi, celebrativi, di condivisione esistenziale e maturazione spirituale. Tale struttura quadripartita emerge, infine, con tutta evidenza a livello liturgico, nel momento del battesimo degli adulti. Chi viene battezzato, professa il Credo, inizia una nuova vita e prega con il Padre nostro.
Quali gli aspetti imprescindibili per impostare un itinerario di catechesi degli adulti, degno di questo nome?
Nel promuovere la catechesi degli adulti è indispensabile innanzitutto rendersi conto dell’identità propria degli adulti e delle loro attuali condizioni di vita. La catechesi degli adulti, infatti, va impostata, almeno in certa misura, a partire dalle persone a cui è diretta: prima sono le persone!
La vita degli adulti è contrassegnata da molteplici responsabilità: nel lavoro, nel campo economico, nelle relazioni personali e sociali. Singolare è la loro responsabilità affettiva ed effettiva nei confronti della propria famiglia. Gli adulti sono chiamati a svolgere ruoli diversi che li espongono inevitabilmente a tensioni e problemi. Ma nell’attuale contesto sociale, pluralista e sottoposto ad una accelerata trasformazione, gli adulti sperimentano anche la propria impreparazione e la sproporzione che passa tra le urgenze della famiglia e della società e l’inadeguatezza delle loro energie e capacità; avvertono la complessità crescente dei problemi odierni e degli stessi mondi vitali in cui sono inseriti.
Nei confronti del messaggio cristiano gli adulti manifestano atteggiamenti diversi: di rifiuto o di adesione, di indifferenza o di risveglio religioso, di tradizione tranquilla o di inquietudine, di chiusura in una visione funzionalistica della vita o di apertura alla dimensione misterica, di passività o di impegno ... Essi, di solito, avvertono la necessità di alcuni riferimenti essenziali a sfondo religioso; ma tali riferimenti appaiono per lo più isolati e staccati dalla vita quotidiana.
Occorre che la catechesi aiuti gli adulti a riscoprire un modo «significativo» di vivere la fede oggi, in stretto rapporto con le loro situazioni di vita e con le loro esigenze di crescita personale e di responsabilità sociale.
Per promuovere una corretta catechesi degli adulti è necessario essere attenti anche alla vera identità della catechesi, ai suoi compiti e al carattere adulto che bisogna garantirne con cura. Capita troppo spesso, infatti, che si intraprendano con gli adulti iniziative pastorali che non meritano il nome di vera catechesi, oppure che non tengono conto in forma adeguata delle esigenze e attese proprie degli adulti del nostro tempo. E questo è fonte di insoddisfazione e di delusione. Come è stato già segnalato in preparazione al Convegno nazionale dei catechisti del 1992, «insieme a molte iniziative valide e promettenti, ci sono pure troppe forme di catechesi degli adulti infantilizzanti e deludenti» (UCN, Adulti nella fede, testimoni di carità, 31). Perciò è necessario non perdere di vista le finalità e gli obiettivi di un’autentica opera di catechesi con gli adulti.
Quando si parla di finalità e di obiettivi, si intende chiarire il modello di cristiano da promuovere e il tipo di comunità ecclesiale da costruire attraverso l’opera formativa della catechesi. Da più parti viene chiesto di ripensare in termini nuovi, senza comprometterne l’autenticità, l’identità cristiana per gli adulti di oggi, in modo da offrire un modo più convincente e attraente di essere cristiano.
La Chiesa e la società oggi hanno bisogno di credenti veramente adulti, dalla fede personalizzata e matura:
- fede personalizzata: cioè sostenuta da una scelta personale, da un atto di conversione, e quindi non conformista o di pura tradizione o socialmente imposta. Oggi è necessario che l’adesione a Gesù Cristo sia sostenuta da una vera esperienza personale di fede e di vita cristiana, che stia alla base della propria scelta religiosa;
- fede matura: una fede che cresce verso l’ideale della maturità e che quindi presuppone le caratteristiche proprie dell’adulto maturo: conoscenza dei contenuti e dei fondamenti della fede, attinti prima di tutto dalla Bibbia (cf. Dei verbum, n. 21), autonomia nelle proprie convinzioni, equilibrio psicologico, senso critico costruttivo, partecipazione responsabile e coerenza operativa.
La Chiesa oggi ha bisogno di credenti adulti responsabili e attivi, anzitutto all’interno della comunità ecclesiale di appartenenza, capaci perciò di «fare la verità nella carità» e di promuovere così la formazione di comunità cristiane adulte. Si auspica infatti la presenza di credenti meno individualisti e meno passivi, uomini e donne che, lungi dall’essere semplice oggetto delle cure pastorali, abbiano un forte senso della Chiesa, si sentano identificati con la Chiesa, soggetti attivi in essa, e quindi promotori di un modello più comunionale di comunità ecclesiale.
La società oggi ha bisogno di credenti adulti impegnati e attivi nel mondo, presenti responsabilmente in essa. È un aspetto che troppo spesso fa difetto o viene sottovalutato. L’esperienza infatti insegna che troppo frequentemente la catechesi degli adulti non aiuta i cristiani ad acquistare una coscienza sociale e di impegno responsabile nel mondo. C’è il pericolo e la tendenza ad accontentarsi di credenti devoti ed entusiasti, generosi e disponibili, ma chiusi nella sfera del privato e nell’ambito intra-ecclesiale. La catechesi deve formare e spingere verso l’impegno, la collaborazione e la partecipazione responsabile, nelle opere sociali, nella vita del quartiere, nella sfera culturale e politica, nella solidarietà effettiva con i poveri e gli emarginati.
La Chiesa e la società oggi hanno bisogno di credenti adulti, dalla fede contagiosa, missionaria, capaci di «dire la fede» nel mondo di oggi. Pensiamo a cristiani che, lungi dal chiudersi nel proprio mondo privato o dal sentir paura e vergognarsi della propria fede di fronte agli altri, siano invece portati a testimoniarla con semplicità e coraggio e a rendere ragione delle proprie scelte religiose, convinti che la prima carità è il dono della verità (cf. Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 1). Non sono cose di poco conto: presuppongono una capacità acquisita di accettazione del pluralismo, di dialogo culturale, di armonica integrazione tra fede e vita. Il lavoro catechetico con gli adulti, a proposito dei contenuti, richiede di tenere presenti anche le esigenze del modo adulto di presentare e formulare il messaggio cristiano: per esempio, l’aggiornamento teologico e biblico, l’obiettività storica, il dialogo con la scienza e la cultura, il superamento delle fughe «spiritualistiche» o «orizzontalistiche».
Anche per ciò che concerne la metodologia, la catechesi degli adulti deve saper rispettare le esigenze proprie della maturità: il metodo laboratorio può venire incontro a questa attesa non derogabile.
Maria Grazia Rasia
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