n. 57: La trasmissione della fede cristiana
PROPOSIZIONE 57: LA TRASMISSIONE DELLA FEDE CRISTIANA
“Mi sarete testimoni” (Atti 1,8). Sin dal primo inizio, la Chiesa ha compreso la sua responsabilità di trasmettere la Buona Novella. Il compito della nuova evangelizzazione, seguendo in questo la tradizione apostolica, è la trasmissione della fede. Il Concilio Vaticano II ci ricorda che questo compito è un processo complesso che coinvolge la fede e la vita di ogni cristiano. Questa fede non può essere trasmessa in una vita che non è modellata secondo il Vangelo o in una vita che non trovi il suo significato, verità e futuro nel Vangelo.
Per questo motivo, la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana chiama tutti i credenti a rinnovare la loro fede e il loro incontro personale con Gesù nella Chiesa, per approfondire la loro comprensione della verità della fede e condividerla con gioia.
Nella prima Lettera di Paolo ai Corinzi (11,23) troviamo questo termine “trasmettere” riferito alla fede che si è ricevuta. E’ una questione di primaria importanza perché il cristiano non trasmette “solo” una dottrina ma bensì la verità di una Persona, Gesù Cristo Verbo Incarnato e Figlio di Dio. Questo è il centro della Nuova Evangelizzazione, non quindi un vangelo diverso o un “nuovo” Vangelo, ma come fu dall’inizio ci è stato tramandato il deposito della fede che è Gesù Cristo.
Papa Paolo VI nella Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi adopera molteplici volte la parola trasmettere proprio per descrivere l’azione evangelizzatrice della Chiesa, come ad esempio ai nn. 4,15,78,79.
La preoccupazione fondamentale è quella di annunciare Gesù, non le proprie opinioni o attitudini personali. Ciascun cristiano deve poter dire come Gesù nel vangelo di Giovanni (7,16): “La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato”.
Il fine di tutto il processo di trasmissione della fede è l’edificazione della Chiesa come comunità dei testimoni di Cristo risorto e del suo Vangelo. Sempre Paolo VI afferma: “Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare “le grandi opere di Dio”, che l’hanno convertita al Signore, e dev’essere nuovamente convocata e riunita da Lui. Ciò vuol dire, in una parola,che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunciare il Vangelo” (vedi EN n. 46).
L’indizione dell’Anno della Fede da parte di Papa Benedetto XVI ricorda l’analoga decisione presa da Paolo VI nel 1967, facendo sue le motivazioni di allora. Scopo dell’iniziativa era incoraggiare in tutta la Chiesa un autentico slancio nel professare il Credo. Una professione che fosse “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” (Petrum et Paulum Apostolos, XIX centenario martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 1967). Papa Benedetto cita questo passo nella Lettera Apostolica Porta Fidei al n. 4 e indice l’Anno della Fede, chiedendo che quest’Anno serva per attestare che i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati e approfonditi in maniera sempre nuova, al fine di darne testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato. C’è il rischio che la fede, che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa, non sia più compresa nel suo senso profondo, non venga assunta e vissuta dai cristiani come strumento che trasforma la vita, con il grande dono della figliolanza di Dio nella comunione ecclesiale.
“Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (vedi Lc 18,8) questa domanda di Gesù inquieta: mi ha sempre inquietato poiché è evidente che ci troviamo di fronte alla vera questione della vita!
Proprio Benedetto XVI afferma: “Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, …. Oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone” (vedi Porta Fidei n. 2). Inoltre “Questa crisi sta provocando effetti sempre più palesi anche in terre feconde che rischiano così di diventare “deserto inospitale”, come Benedetto XVI affermava ai Vescovi italiani nel Discorso all’Assemblea generale della CEI il 24 maggio 2012.
Sempre Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima 2013, ricordava l’indissolubile intreccio tra fede e carità (n. 3). “L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. … La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (Udienza generale 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti a circoscrivere il termine “carità” alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il “servizio della Parola”. Non v’è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l’evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell’Enciclica Popolorum progressio, è l’annuncio di Cristo il primo e principale fattore di sviluppo (cfr n. 16). E’ la verità originaria dell’amore di Dio per noi, vissuta e annunciata, che apre la nostra esistenza ad accogliere questo amore e rende possibile lo sviluppo integrale dell’umanità e di ogni uomo (Caritas in veritate, 8).
E papa Francesco, lo scorso 6 luglio, senza giri di parole, parlando a braccio proprio sul tema dell’annuncio del Vangelo e dell’essere evangelizzatori, ha “sfrondato” quello sbandierato quanto ingiustificato criterio pastorale del “fare aggregazione, fare socializzazione”affermando proprio che “… il nostro compito è l’annuncio di Cristo morto e risorto, il compito della Chiesa è l’annuncio del Vangelo!”.
Maria Grazia Rasia
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