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Intervista a Paola

p1010135Come sei arrivata a scegliere la tua vita tra le Ausiliarie Diocesane?
Prendendo spunto dalla canzone "Nascerà" dei Gen Rosso, direi così: sempre nuovo è stato il Suo modo di inventare il tempo per me, è una cosa che, non mi spiego mai, cos’ho fatto perché Lui scegliesse me? Con il Signore è stata una specie di lotta, durata circa 10 anni, al termine della quale mi sono arresa. Nel 2003 ho lasciato la mia professione e la mia casa: a 30 anni suonati ho iniziato il discernimento con le AD che mi ha portato ai primi voti nel 2007.
Rimpianti?
Direi proprio di no. All’inizio non è stato semplice, perché in ogni storia vocazionale, si intrecciano altre storie di vita: i familiari, gli amici, i colleghi, la comunità cristiana in sui si è cresciuti. Poi, mi sono accorta di una dinamica particolare: mentre io cercavo la verità della mia vita, la verità si prendeva cura di ogni storia a me vicina, a partire da quei volti che avevo lasciato soli, ed è stato davvero un cammino per tutti, non solo per me.
 
Quali tappe ricordi come significative?
Tutte hanno contribuito al cammino, ma certamente l’esperienza fatta in carcere per due anni ha segnato…il passo! Il mio essere credente, mi ha sempre posto interrogativi circa la fragilità umana e il suo misurarsi con la regola, così come le ingiustizie della vita mi hanno sempre spronata a ricercare la verità. La norma non sempre è in grado di soddisfare ogni bene.
A San Vittore ho toccato con mano che dal Golgota si prepara il ritorno a casa di ogni figlio e figlia dispersi, in un tempo che viene inchiodato alla pazienza di Dio. Ho provato timore e tremore nel riconoscere in me sentimenti di bene nei confronti di chi aveva ucciso anche più volte, così pure ho sperimentato la continua, discreta tenacia di Dio, mentre solidale con tutti, cercava di scrivere innanzitutto dentro di me e per me la parola compassione. Intingere le mie dita nell’acqua santiera della cappella del femminile, insieme a quelle che avevano rubato, maltrattato, drogato, ingannato, mi ha ripetutamente ricordato che anch’io ho bisogno della stessa salvezza, per mano dello stesso Dio. 
 
E ora?
Dopo l’esperienza in carcere ed in parrocchia con i ragazzi e i giovani del Centro storico di Milano, da un paio di anni svolgo un servizio di accoglienza e di consulenza familiare in un consultorio, faccio parte del gruppo AKOR (porta di speranza) che in diocesi si occupa dei cammini spirituali per separati, divorziati e risposati, e, da quasi un anno, istruisco i processi di nullità matrimoniale presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo. In questo orizzonte echeggia come strada maestra e monito la Parola di Gesù: 
 “Guai a voi scribi e farisei ipocriti che pagate la decima… e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la GIUSTIZIA, la MISERICORDIA, la FEDELTA’” (Mt. 23).
 
In che senso?
Giustizia, misericordia e fedeltà a volte, non sembrano essere tra le urgenze prescrittive della legge evangelica, così come spesso, vengono lette in contraddizione e difficilmente applicabili insieme. In realtà i servizi che svolgo sono intimamente intrecciati a queste “forme sorelle” della buona notizia.
Il monito per me è di esercitare questa triade nella mia vita e nell’incontro con le persone, perché giusta è la parola detta dalla croce o da molto, molto vicino, nella fedeltà ad un amore che ci precede sempre.
 
Paola Vitali
 
 
 

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