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PREGHIERE IN PROSA: il padre del ragazzo epilettico - La preghiera nella fatica di credere

padreLa gioia per la nascita di un figlio si trasforma in una grande preoccupazione: il figlio è ammalato! È questo il vissuto drammatico del padre, di cui narra il Vangelo di Marco al capitolo 9 e che corrisponde all'esperienza del dolore e della fatica che tutti, prima o poi, attraversiamo.
Capita, infatti, di iniziare il viaggio della vita e della fede con grande fiducia e di proseguire  il cammino con leggerezza ed armonia: lo sguardo è capace di cogliere i piccoli segni della presenza di Dio e la preghiera si fa dialogo di lode e ringraziamento. Ma capita anche che il viaggio della vita e della fede conosca delle battute d’arresto. La vita ci viene incontro con le sue complessità: una malattia, un lavoro che non c’è più, una relazione che finisce, una situazione che sembra senza possibilità di risoluzione... È allora che il passo si fa pesante, Dio sembra assente, si cercano soluzioni e aiuti in ogni dove, la preghiera  sembra occupare i posti ultimi e la sentiamo arida carica di tanti “se” «Se tu fossi stato qui… se ci sei… se sei Dio…se puoi…». Ci si ritrova davanti al Signore sfiniti, incapaci di riconoscere la fragilità e la povertà della fede che ci appartengono. Ma questo poco importa al Signore Gesù: a lui basta il nostro essere lì ed è pronto ad ascoltare il racconto della nostra vita e delle nostre fatiche. I nostri “se” divengono occasione per riconoscere la piccolezza della nostra fede che si apre alla fede che Dio sempre ripone in noi. 
Dio non smette mai di credere in ciascuno di noi, nella possibilità di vita buona che è in noi e per noi realizzabile insieme a Lui, anche quando noi non ci crediamo più. 
E, mentre scrivo queste righe, riaffiora nella mia memoria un’esperienza vissuta con una giovane donna incontrata tempo fa. Come ogni giovane, anche Jessica desiderava una vita bella e felice, ma le “scorciatoie” percorse l’hanno portata in carcere. Nonostante il “contesto ostile” in cui l’ho incontrata (il carcere è sempre un ambiente avverso) la ricordo piena di vita, fedele agli appuntamenti proposti dalla cappellania (Messa, catechesi, incontro di preghiera…), finché, probabilmente in seguito all’ennesima avversità (non ricordo se per un diverbio con una altra persona o  per l’arrivo di una nuova brutta notizia…) il suo volto si è spento, ha perso luminosità. Jessica ha bruscamente diradato la sua presenza agli incontri. Poi per caso un giorno ci siamo incrociate sulle scale, mentre io scendevo e lei saliva al piano di sopra (dove c’è l’infermeria), mi ha guardato e mi ha detto: «Basta! Io non credo più!». Forse per lei era un modo di chiudere, di giustificarsi, ma a me piace pensare che anche queste sue parole sono risuonate nel cuore di Dio come una preghiera! Ogni nostro grido, come ogni nostro sospiro è raccolto da Dio e diventa preghiera; magari noi non ne siamo consapevoli, ma è preghiera di vita: invocazione espressa in una quotidianità faticosa e in un luogo che ci può sembrare il meno adatto a pregare. Quel giorno, sulle scale, Jessica ha, in qualche modo, urlato la sua preghiera, che sicuramente è stata raccolta da Dio! Ed anch’io ho avuto la Grazia di ascoltare questa sua invocazione alla quale ho “risposto” dapprima con uno sguardo e poi, senza neanche accorgermi, mi sono ritrovata a dirle: «Non importa se tu non credi più, ciò che conta è che Dio non smette di credere in te!». Alle mie parole, per un attimo Jessica si è fermata, poi ha proseguito per andare là dove l’aspettavano. È ritornata da me dopo qualche giorno a chiedermi «Davvero Dio crede in me?». Questa domanda è stata l’occasione per donarci del tempo: ci siamo sedute, un attimo di silenzio, poi abbiamo parlato a lungo dando voce al dolore che lei portava nel cuore, la sua vita si è fatta racconto che si è lasciato  rileggere dalle parole del Vangelo e, così, gradualmente, Jessica è “ritornata” a vivere, si è rialzata capace di riporre fiducia nella vita e nel Signore. 
Ripensandoci, posso dire che quel giorno ci siamo sostenute nella fatica di credere che ci accomuna tutti o, forse, è meglio dire che il Signore ci ha aiutato-sostenuto nella nostra povera fede.

Chicca Sacchetti

Cappellania C.C. S.Vittore

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