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2. Fraternità senza confini: chiamate ad essere per tutti!

3Sono una donna che nell’era della globalizzazione ha deciso di spendere la sua vita in una piccola porzione di terra.
Per questo, forse, tra le tante suggestioni che si possono raccogliere da una lettura meditata sulla Fratelli tutti ci sono alcune parole del IV capitolo dell’Enciclica che mi fanno vibrare.
Si legge al n. 145 «C’è una falsa apertura all’universale, che deriva dalla vuota superficialità di chi non è capace di penetrare fino in fondo nella propria patria[...]. In ogni caso, bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia»
Siamo invitati a non perdere ciò che è locale in un universale astratto e sempre altrove, anzi, più profondamente, siamo invitati a perderci nel locale per restituire al globale una ricchezza più variopinta.
Qui, in questa porzione di cultura, di terra, di Chiesa si gioca la mia dedizione al mondo!
 
Insieme, però, siamo avvertiti che «non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli. [...] Così, la vita locale non è più veramente recettiva, non si lascia più completare dall’altro; pertanto, si limita nelle proprie possibilità di sviluppo, diventa statica e si ammala. Perché, in realtà, ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che «una cultura senza valori universali non è una vera cultura»
Il Papa, insomma, ci mostra le insidie della globalizzazione, nell’illusione di una unità indifferenziata, ed insieme quelle di un localismo che esaspera le parzialità. Ma come, ormai ci ha insegnato a fare, non si ferma alla condanna e chiede di abitare i conflitti per assumere una «una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte» .
L’essere fratelli e sorelle di tutti, senza confini, dunque chiede di assumere, ad esempio, la sfida così attuale delle migrazioni passando da una prospettiva che comunemente chiamiamo dell’integrazione o dell’accoglienza delle minoranze ad una ben più esigente e giusta di fraternità reale, nella consapevolezza che ciascun popolo costituisce una risorsa per tutti.
Come ci aveva già ricordato nel discorso del 27 marzo scorso «Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva» perché motiva lucidamente il Papa «La povertà, il degrado, le sofferenze di una zona della terra sono un tacito terreno di coltura di problemi che alla fine toccheranno tutto il pianeta.[...] dovrebbe assillarci il pensiero che dovunque ci sono persone e popoli che non sviluppano il loro potenziale e la loro bellezza a causa della povertà o di altri limiti strutturali. Perché questo finisce per impoverirci tutti» .
Il suo è un richiamo molto laico, rivolto al nostro essere uomini e donne che di fronte all’umanità dell’altro sono chiamati a riconoscere e valorizzare il diverso, soprattutto il piccolo, come un dono e non come un peso. E se ancora non bastasse l’impegno per i credenti si fa ancora più stringente perché «chi non vive la gratuità fraterna fa della propria esistenza un commercio affannoso, sempre misurando quello che dà e quello che riceve in cambio. Dio, invece, dà gratis, fino al punto che aiuta persino quelli che non sono fedeli» .
Mi impressiona come questa enciclica ci chieda di avere un cuore aperto al mondo intero ed insieme chieda di impegnarsi lì dove ci si trova: il Papa rende evidente come le nostre decisioni quotidiane non siano tanto lontane dalle grandi questioni che animano i tavoli dei governi mondiali. Sembra quasi dirci che lo scoprirsi come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come fratelli dipende dalla concretezza dei sogni che ciascuno nutre... lui direbbe che dipende dal nostro camminare per cortili, contemplando praterie...da quanto sappiamo perderci nel particolare per abbracciare l’universale!
Roberta Casoli, Pastorale Giovanile
Comunità Pastorale Santi Profeti, Milano
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