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Letture estive: L’insopportabile bontà

moneteNon sono i tempi di crisi e le battaglie dei lavoratori per i loro diritti a rendere difficile la lettura di questa pagina di Matteo, ma è la parabola in sé ad essere disorientante, perché tocca profondamente i nostri modi di pensare e di valutare la realtà. Questa destabilizzazione, però è necessaria, per riuscire ad oltrepassare le barriere delle nostre difese.
Uno sguardo al contesto aiuta a capire a chi è rivolta la parabola e dà luce alle argomentazioni. Un legame con quanto è raccontato precedentemente è dato chiaramente dall’inclusione tra il v. 19,30 («Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi») e il v. 20,16 («Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi»). Gesù si sta rivolgendo ai suoi discepoli che, in seguito alla vicenda del giovane ricco(Mt 19,16-22), si interrogano sulla ricompensa di chi ha lasciato tutto per seguire Gesù. È evidente che tra il lasciaree l’ereditare, in futuro, vi è un nesso, ma è pur vero che, a fronte di una rinuncia attuale, il possesso futuro è eventuale e appeso a una promessa che inverte gli schemi di ragionamento.

La parabola si inserisce proprio a questo punto.

 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto.

 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”.7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

 8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da' loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)

Due sono le sequenze di cui è composta: la prima (vv. 1-7), ambientata durante il giorno è ritmata dalle cinque uscite del padrone della vigna (all’alba, cioè verso le sei, v. 1; alle nove del mattino, v. 3; verso mezzogiorno, verso le tre, v. 5 e verso le cinque, v. 6), per prendere a giornata gli operai. In Oriente era normale mettersi nelle piazze o ai crocicchi per cercare lavoro, in modo che potessero facilmente incontrarsi domanda e offerta (una sorta di ufficio di collocamentosenza intermediari). La vera e propria contrattazione avviene solo con i primi assunti. Il padrone, infatti, si accorda (come in italiano il verbo greco trasla il significato dal campo musicale – suonare insieme– al campo delle relazioni) con loro per un denaro, che era il salario ordinario, sufficiente a mantenere la famiglia per in giorno. Con gli altri operai, fino a quelli delle tre, l’accordo è molto più semplice, basato sul senso di giustiziadel padrone e sulla sua promessa di dare quello che è giusto(v.4). Non c’è contrattazione, ma fiducia. Con gli operai delle cinque, stranamente assunti un’ora prima del termine della giornata lavorativa, non si parla affatto di ricompensa.

La seconda sequenza (vv. 8-15), invece, è ambientata alla fine della giornata («Quando fu sera», v. 8), quando si tirano le somme e si consegna a ciascuno la paga, secondo le abitudini del tempo e le raccomandazioni di vari passi dell’Antico Testamento (Lv 19,13; Dt 24,15; Tb 4,14). L’ordine di dare la paga partendo dagli ultimi per arrivare poi ai primi (v. 8), richiama l’inclusione tra i vv. 19,30 e 20,16 e indica la vicinanza al cuore della parabola. La ricorrenza del verbo ricevere ai vv. 9.10[2x].11 (nascosto dalla traduzione, sotto il verbo ritirare) poi fa comprendere che proprio sul modo di ricevere è convogliata l’attenzione.

Agli operai delle cinque, che hanno lavorato un’ora soltanto e senza accordo sulla paga, viene dato un denaro, la paga dell’intera giornata. Per l’ascoltatore è una sorpresa, gradita, che fa gustare la bontà e la generosità del padrone. A questo punto, però, il narratore, con un abilissimo passaggio (v. 10), fa in modo che l’ascoltatore sia associato al punto di vista dei primi(vengono tralasciati tutti gli altri), mettendolo a parte dei loro pensieri: «pensarono che avrebbero ricevuto di più (v. 10). Dalla sorpresa, allora, l’ascoltatore passa alla curiosità: quale sarà la paga dei primi? A quanto ammonterà l’atteso «premio di produttività»? Infine, dalla curiosità passa alla mormorazione (v. 11), insieme agli operai della prima ora, quando scopre che la paga è sempre la stessa: il denaro pattuito. La mormorazione, che ricorda quella di Israele nel deserto (Es 16,7; 17,3) è una sorta di malattia spiritualeche impedisce di vedere il dono di Dio, quando non corrisponde ai canoni umani e alle attese (si veda per esempio la mormorazione dei farisei e degli scribi in Lc 15,2 di fronte al comportamento di Gesù con i pubblicani e i peccatori). 

L’ascoltatore, quindi, si trova a condividere le recriminazioni dei primi ed è portato a interpretare la situazione in termini di giustizia sociale, ma la risposta del padrone – che nonostante tutto risponde a chi lo contesta – non permette deviazioni. Essa è costituita da due affermazioni, due imperativi e tre domande. La prima affermazione e la prima domanda (v. 13) portano a riconoscere che il comportamento del padrone è conforme alla giustizia contrattuale: ha dato ciò che è stato pattuito. I due imperativi (v.14a) invitano a prendere il proprio denaro e ad andarsene, mentre con la seconda affermazione (v. 14b) il padrone esplicita la sua intenzione di retribuire nello stesso modo anche gli ultimi. Restano infine le due domande (v.15), come spesso accade, aperte, affidate all’ascoltatore, che forse ancora sta mormorando…

La parabola ha portato così alla luce le resistenze e a scoprire quell’occhio cattivo(v. 15, letteralmente: «Oppure il tuo occhio è cattivo, perché io sono buono?», cf. Mt 6,23) che determina la radicale incapacità di ricevere(vv. 9.10[2x].11), lasciando spiazzati di fronte a quella bontàinsopportabile che fa gli altri uguali a noi (v.12). Non si tratta – come spesso si è detto – di una parabola sulla chiamata, che giunge a ogni momento, ma di un invito a lasciarsi trascinare nella logica della bontà di Dio, assolutamente sproporzionata, al di là dei nostri schemi: un dono incalcolabile, che può essere solo ricevuto nella fiducia, altrimenti non resta che andarsene, tenendosi stretto il proprio denaro.

Laura Invernizzi, Ausiliaria Diocesana

 

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