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n. 42: Attività pastorale integrata

PROPOSIZIONE 42: ATTIVITA’ PASTORALE INTEGRATA
 
Ogni Chiesa particolare è la comunità primaria della missione della Chiesa. Deve animare e guidare una rinnovata attività pastorale in grado di integrare la varietà dei carismi, dei ministeri, degli stati di vita e delle risorse. Tutte queste realtà devono essere coordinate all’interno di un progetto missionario organico, capace di comunicare la pienezza della vita cristiana ad ognuno, progetto missionario organico, capace di comunicare la pienezza della vita cristiana ad ognuno, specialmente a coloro che si sentono lontano dalla cura della Chiesa. Tale sforzo deve derivare dal dialogo e dalla cooperazione di tutte le componenti diocesane, tra cui: parrocchie, piccole comunità cristiane, comunità educative, comunità di vita consacrata, associazioni, movimenti e singoli fedeli. Ogni programma pastorale deve trasmettere la vera novità del Vangelo ed essere incentrato sull’incontro personale e vivente con Cristo; deve essere anche strutturato per suscitare in tutti una generosa adesione alla fede ed una volontà di accettare la chiamata ad essere suoi testimoni.
 
Nel commento alla presente proposizione desidero sottolineare almeno tre aspetti che aiutano a mettere a fuoco cosa significa il termine “Pastorale integrata”: il primo tocca la Chiesa Diocesana, il secondo suggerisce l’impostazione pastorale a cui è chiamata ciascuna comunità parrocchiale nello svolgere la missione evangelizzatrice, il terzo indica quelle attenzioni irrinunciabile dell’agire pastorale che sono proprie della Chiesa che vuol essere davvero missionaria.
1.La pastorale integrata, sollecitata dai Vescovi italiani ormai da anni, è espressione di una comunità operativa che, a partire dalle esigenze della missione, valorizza carismi e soggettualità ecclesiali.
Occorre un ripensamento delle risorse personali, comunitarie e strutturali della pastorale diocesana, motivata da una spiritualità di comunione e di valorizzazione delle singole soggettività e storie in gioco e non costretto, in un futuro veramente prossimo, dalla mera mancanza di presbiteri.
E nell’ordine della missionarietà, anima di questa opzione pastorale, si possono superare antiche contrapposizioni tra parrocchie, movimenti e religiosi.
E’ infatti, in funzione dei bisogni del territorio o della situazione pastorale che si vuole servire che si attivano le competenze e le sinergie necessarie per l’obiettivo da realizzare. Per ulteriori approfondimenti vedi CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia n. 11 – 2004.
 
2.Evidenziando un ulteriore aspetto insito nella pastorale integrata, è senza dubbio la dinamica pedagogica della Traditio – Receptio – Redditio, poiché applica in modo esemplare questa “integrazione”:
la fede è dono e suppone una comunità che se ne faccia mediatrice e portatrice (traditio).
•La fede suppone un’accoglienza libera e la possibilità di essere coltivata con un atteggiamento attivo (receptio).
La fede è feconda, opera nella carità e prende volto nel celebrare, nel testimoniare e nel servire (redditio).
In conseguenza, applicando questa indicazione pastorale ad esempio in un itinerario di Iniziazione Cristiana ispirato al catecumenato, non possiamo dimenticare che le tappe del percorso che di volta in volta si susseguono, non sono simboliche, ma esprimono veramente un passaggio avvenuto, una conquista fatta, un comportamento acquisito. Occorre promuovere la maturazione di fede e soprattutto bisogna integrare tra loro le varie dimensioni della vita cristiana: conoscere, celebrare e vivere la fede (per ulteriori approfondimenti vedi CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 7 La Chiesa madre genera i suoi figli nell’iniziazione cristiana – 2004).
Teniamo conto ad esempio di quali siano le attività, la vita ordinaria, delle nostre parrocchie. Facendo concretamente un elenco, ci accorgeremmo che ogni parrocchia, presenta una molteplicità di attività pastorali che ruotano attorno a quattro grandi temi portanti che costituiscono l’indole propria dell’essere Chiesa: esse sono la Liturgia, che rende presente il Signore risorto nella comunità cristiana che dona la Sua Grazia santificante, la Catechesi, che insegna e annuncia la Parola di Dio e la viva Tradizione della Chiesa, cioè la sua vita interna e il suo rapporto con gli uomini di buona volontà, la Carità nella espressione della vita fraterna e dell’attenzione verso i poveri, la Missione, come testimonianza e annuncio del Vangelo.
Per ognuna di queste “attività” è sempre utile rispondere a cinque “messe a fuoco” per poterle incarnare in ogni singola realtà: chi – cosa – dove – quando – perché.
Teniamo conto che ogni aspetto della vita della comunità e ogni sua espressione serve per introdurre alla vita cristiana, questo riguarda sia i bambini ma anche i loro genitori che forse ultimamente se ne sono un po’ allontanati.
Occorre poi aver chiaro sempre quali sono i destinatari, lo scopo che abbiamo, quali i luoghi adatti da utilizzare, quali persone interessate o da poter coinvolgere.
Parafrasando S. Paolo, il grande apostolo delle genti, tutto è lecito ma può anche essere non necessariamente opportuno. Ad esempio un itinerario catechistico che voglia essere integrato deve rientrare nel Progetto Pastorale della comunità cristiana del luogo, e interrogarsi sempre su quale sia il motivo che fa muovere.
Al tempo stesso, non bastano né la parola né l’impegno o la coerenza di vita. Perché il cristianesimo non è semplicemente una dottrina o una ideologia, ma è riconoscere la Persona di Gesù Cristo come Salvatore, riconoscerlo come Dio che mi cerca e desidera essere presente nella nostra vita, Lui che ce ne offre una più grande (la vita divina). 
 
3.Vi è un ultimo aspetto da considerare richiamato nel Convegno Ecclesiale di Verona del 2006: accanto ai fondamentali cardini dell’azione ecclesiale  Liturgia, Catechesi, Carità, Missione, perché il cammino di fede nella vita cristiana sia effettivamente integrato,  occorre imparare lo stile che voglia incontrare le persone nelle concretezze della loro vita personale e che tenga conseguentemente conto di almeno cinque ambiti della vita quotidiana, quali  la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione, la cittadinanza, così da incarnare l’annuncio di Gesù Signore e Salvatore. Ciò è infatti decisivo perché ciascuno sia testimone negli ambiti della sua vita. E’ evidente che la Sacra Scrittura è sempre la fonte e il riferimento: essa non cessa di parlare di affetti, di malattie, di questioni sociali, di genitori e di figli, di festività e di lavoro e di come Dio entri nelle pieghe delle varie storie dei personaggi per essere una presenza di Padre, di Salvatore, di Redentore per ciascuno.
 
“Si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa
che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo
per ciò che si dice o si fa”.
Redemptoris Missio n. 23
 
 
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n. 41: Nuova Evangelizzazione e Chiesa particolare

PROPOSIZIONE 41: NUOVA EVANGELIZZAZIONE E CHIESA PARTICOLARE
 
La Chiesa particolare, diretta dal Vescovo, aiutato da sacerdoti e diaconi, con la collaborazione di persone consacrate e laici, è  l’oggetto della nuova evangelizzazione. Lo è perché in ogni luogo la Chiesa particolare è la manifestazione concreta della Chiesa di Cristo e, come tale, inizia coordina e realizza le azioni pastorali attraverso le quali la nuova evangelizzazione viene implementata.
Nella Chiesa risuona la chiamata alla santità, diretta a tutti i battezzati, invitati a seguire il Cristo e a rivolgersi con amore e buona volontà verso tutti gli uomini, al fine di discernere l’azione dello Spirito Santo in loro: “Come vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34-35). Per le prime comunità cristiane, la comunione era un elemento costitutivo della vita di fede e necessaria per l’evangelizzazione: avevano un solo cuore e spirito. La Chiesa è comunione, vale a dire, la Chiesa è la famiglia di Dio.
La Chiesa permette a ciascuno dei suoi membri di essere consapevoli della loro responsabilità di essere come il lievito nella pasta. In questo modo, “la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventerà una testimonianza contagiosa per il mondo in tutte le sue dimensioni, offrendo ad ogni persona la possibilità di incontrare Cristo e di diventare a sua volta evangelizzatore.
E’ auspicabile che ogni Chiesa particolare, qualunque siano le difficoltà, sviluppi il senso della missione tra i suoi fedeli  cooperando con le altre Chiese particolari.
 
“Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo aver pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23). Gli apostoli Paolo e Barnaba pongono i primi passi delle Chiese sotto la guida di un collegio di anziani, loro collaboratori. Vedremo i tratti che deve assumere la parrocchia nel rispondere all’esigenza della Nuova Evangelizzazione nella proposizione 44, qui va ricordato che la parrocchia si qualifica dal punto di vista ecclesiale non per se stessa, ma in riferimento alla Chiesa particolare, di cui costituisce un’articolazione.
E’ la Diocesi ad assicurare il rapporto del Vangelo e della Chiesa con il luogo, con le dimore degli uomini.  La Chiesa particolare è fondata dalla successione apostolica da cui scaturisce la certezza della fede annunciata e, nella comunione di tutti i suoi membri sotto la guida del Vescovo, è dato il mandato di annunciare il Vangelo. La parrocchia, che vive nella Diocesi, non ne ha la medesima necessità teologica, ma è attraverso di essa che la Diocesi esprime la propria dimensione locale. Pertanto, la parrocchia è definita correttamente come “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (Chl, 26).
Agli inizi, la Chiesa si edificò attorno alla cattedra del vescovo e con l’espandersi delle comunità si moltiplicarono le Diocesi. Quando poi il cristianesimo si diffuse nei villaggi delle campagne, quelle porzioni del popolo di Dio furono affidate ai presbiteri. La Chiesa potè così essere vicina alle dimore della gente, senza che venisse intaccata l’unità della Diocesi attorno al Vescovo e all’unico presbiterio con lui.
La parrocchia è dunque una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa o funzionale della Diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare.
 
Più che di “parrocchia” dovremmo parlare di “parrocchie”: la parrocchia infatti non è mai una realtà a sé, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare. E’ fondamentale valorizzare i legami che esprimono il riferimento al Vescovo e l’appartenenza alla Diocesi. E’ in gioco l’inserimento di ogni parrocchia nella pastorale diocesana. Alla base di tutto sta la coscienza che i parroci e tutti i sacerdoti devono avere di far parte dell’unico presbiterio della Diocesi e quindi il sentirsi responsabili con il Vescovo di tutta la Chiesa particolare, rifuggendo da autonomie e particolarismi. 
In questo senso ricordo l’indicazione del card. Tettamanzi nella lettera pastorale La Chiesa di Antiochia regola pastorale della Chiesa di Milano – Un anno di riposo in Dio – 2009-2010: “ … dovremmo vedere i nostri incarichi personali, qualunque essi siano, come espressione particolare di una sollecitudine pastorale comune e condivisa che ha come “soggetto” l’intero presbiterio … se uno è parroco, cappellano, responsabile di ufficio di curia, ecc. lo è a nome del Vescovo e dell’intero presbiterio. Se assumiamo questa prospettiva ci sentiremo meno isolati  e meno tentati dai personalismi del nostro lavoro pastorale … esiga comunque una chiarezza e un ordine di compiti, di ruoli e di responsabilità. Questa è un’esigenza umana da tutti avvertita e da rispettarsi, ma è anche una necessità per una comunione che voglia essere ordinata e che non debba soffocare ma valorizzare i carismi e i ministeri personali per l’utilità comune” (pp. 55-56).
La stessa prospettiva di effettiva comunione è chiesta a religiosi e religiose, ai laici appartenenti alle varie aggregazioni.
 
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n. 39: Pietà popolare e Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 39: PIETA’ POPOLARE E NUOVA EVANGELIZZAZIONE
La pietà popolare è un vero luogo di incontro con Cristo ed anche esprime la fede del popolo cristiano nella beata Vergine Maria e i santi. La nuova evangelizzazione riconosce il valore di queste esperienze di fede e le incoraggia come vie per crescere in virtù cristiana.
I pellegrinaggi verso i luoghi sacri e santuari sono un aspetto importante della nuova evangelizzazione. Non solo per i milioni di persone che continuano a fare questi pellegrinaggi, ma perché questa forma di pietà popolare è in questo momento una opportunità specialmente promettente per la conversione e la crescita della fede.
E’ importante quindi che sia sviluppato un piano pastorale in modo da accogliere adeguatamente i pellegrini che, in risposta al loro desiderio profondo, offra possibilità perché il tempo del pellegrinaggio sia vissuto come un vero momento di grazia.
 
Potrebbe sorgere un equivoco, che nel presente commento spero di togliere!
Che cosa significa per le nostre comunità cristiane entrare in una prospettiva di primo annuncio? (vedi proposizione n. 9). Abbandonare tutte le nostre proposte pastorali e tradizioni e cominciare “qualche cosa di nuovo”, che non sapremmo cosa sia? Si tratta di indirizzare tutta l’attività pastorale delle nostre parrocchie a esperienza di evangelizzazione di strada? 
Certo che no!
 
Sono i Vescovi Italiani che nella Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 7 – 2004, affermano: “Di primo annuncio vanno innervate tutte  le azioni pastorali”.
Questa indicazione non dice di fare tabula rasa delle iniziative pastorali anche le più tradizionali, ma di inserire una prospettiva missionaria a ogni azione pastorale e spirituale che si compie in parrocchia.
Qualche esempio: quando dei genitori vengono a chiedere il Battesimo per il bambino e scopriamo che non sanno cos’è la fede, oppure sono conviventi o divorziati, senza dispiacerci troppo se non sono come li vorremmo noi, abbiamo l’occasione di intessere una relazione e proporgli di nuovo il primo annuncio della fede.
Quando incontriamo i fidanzati negli incontri di preparazione al matrimonio, è sufficiente che ripensiamo questi pochi incontri non in una prospettiva di semplice educazione umana o di supplenza dei consultori familiari, ma di proposta della fede, dopo l’abbandono del dopo-Cresima.
Quando, nella visita alle famiglie in occasione della benedizione natalizia, incontriamo persone le più diversificate: qualche superstizioso, qualcuno che si dichiara ateo, qualche altro che dice di credere in Dio ma non nei preti e nella Chiesa, ecc. …. invece di intristirsi, cogliamo l’occasione per gettare un piccolo aggancio per poterli incontrare di nuovo in un modo più “disteso”, oppure per offrirgli un piccolo spunto di riflessione allo scopo di per poter “ripensare”…
Questo vale per ogni attività parrocchiale, anche le più devozionali: processioni, mese di maggio, feste patronali (nella speranza che non siano già ridotte solo a serate danzanti, salamelle alla griglia e tornei di calcio!), devozione per qualche santo particolare, SS. Quarant’ore. Basta ripensare questi momenti significativi e aiutare il popolo di Dio che è affidato alla nostra cura pastorale  a viverle come occasioni per un rinnovato annuncio della fede alla scoperta del Vangelo.
 
L’errore che spesso si ripete nelle nostre comunità è proprio questo: moltiplicare le iniziative e in ciò che si fa dare “poco nutrimento” spirituale, cioè annunziare il Verbo fatto carne, il Signore Gesù morto e risorto per tutti e ciascuno, scadendo in risposte o iniziative puramente sociologiche o di pura aggregazione.
 
 
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n. 38: L'iniziazione cristiana e la Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 38: INIZIAZIONE CRISTIANA E NUOVA EVANGELIZZAZIONE
 
Il Sinodo vuole affermare che l’iniziazione cristiana è un elemento cruciale nella nuova evangelizzazione ed è lo strumento con il quale la Chiesa, come madre, genera i suoi figli e si rigenera. Perciò proponiamo che il processo tradizionale di iniziazione cristiana, che è spesso diventato semplicemente una preparazione approssimativa ai sacramenti venga dappertutto considerata in una prospettiva catecumenale, dando maggiore rilevanza ad una mistagogia permanente, e diventando in questo modo una vera iniziazione alla vita cristiana attraverso i sacramento (Direttorio Generale Catechesi n. 91).
In questa prospettiva, non è senza conseguenza che la situazione oggi per quanto riguarda i tre sacramenti della iniziazione cristiana, nonostante la loro unità teologica, è pastoralmente diversa. Queste differenze nelle comunità ecclesiali non sono di natura dottrinale, ma sono differenze di giudizio pastorale. Questo Sinodo tuttavia richiede che quello che il Santo Padre (Benedetto XVI) ha affermato nella Sacramentum Caritatis, diventi uno stimolo per le diocesi e le Conferenze episcopali per rivedere le loro prassi dell’iniziazione cristiana: “Concretamente, è necessario verificare quale prassi possa in effetti aiutare meglio i fedeli a mettere al centro il sacramento dell’Eucaristia, come realtà cui tutta l’iniziazione tende” (Sacramentum Caritatis n. 18).
 
Si è compreso e “messo a fuoco” la necessità di “iniziare attraverso i Sacramenti” e non solo “iniziare ai Sacramenti”. Non è certo un gioco di parole:  ormai da anni, sia nella nostra Diocesi di Milano ma anche in molte diocesi Italiane, si sono attivati itinerari sperimentali di Iniziazione Cristiana ispirati al catecumenato che “inizino alla vita cristiana” e non solo alla ricezione dei Sacramenti.
Ciò significa salvaguardare l’unitarietà della Iniziazione Cristiana. Non tre sacramenti senza collegamento, ma un’unica azione di Grazia: parte dal Battesimo e si compie attraverso la Confermazione nell’Eucaristia (vedi Rito Iniziazione Cristiana Adulti nn. 27 e 306-312, 1978; Nota CEI/2 nn. 7, 17 e 46). E’ l’Eucaristia il sacramento  che, continuamente offerto, non chiude un’esperienza, ma la rinnova ogni settimana, nel Giorno del Signore.
Anche a livello di Chiesa italiana si è dichiarato il termine delle sperimentazioni, e proprio in questi mesi, la Commissione Episcopale per la dottrina, l’annuncio e la catechesi, sta redigendo un documento di Orientamenti per la catechesi con l’intento di “occuparsi dell’atto catechistico nel suo contesto (adulti ed evangelizzazione, primo annuncio, iniziazione cristiana, formazione dei catechisti), nella consapevolezza che la catechesi non può “dire/fare tutto” e che nello stesso tempo essa rimane l’attività che maggiormente qualifica le Parrocchie … ormai l’orizzonte culturale e religioso italiano, che non preclude ancora di adottare la categoria di cattolicesimo popolare per designarlo, non sopporta più la stanca ripetizione di moduli abitudinari propri di una pastorale stanziale e centrata su servizi religiosi pensati nel quadro di una società ancora largamente cristiana. Il ripensamento della presenza e dell’azione pastorale della Chiesa in questa stagione riposiziona necessariamente anche la proposta catechistica. E se il Documento Base (1970), sulla scia del Concilio, conserva intatta la sua capacità di fornire un contenuto e uno schema di approccio ancora validi nella nuova situazione, nondimeno l’attualizzazione della sua proposta ha bisogno di adattamenti e concretizzazioni, anzi di una sorta di traduzioni che renda viva l’iniziativa ecclesiale per la sua capacità di raggiungere e incontrare efficacemente le persone oggi” (cfr intervento di Mons. Mariano Crociata – segretario della CEI - Il cammino condiviso verso gli “Orientamenti per la catechesi”, alla Consulta dell’UCN, 9 aprile 2013).
Le proposte riguardanti una maggiore qualificazione di padrini/madrine, l’assunzione a pieno titolo negli itinerari di Iniziazione Cristiana della pastorale battesimale e delle prime età della vita, la dimensione catecumenale propria e ispiratrice di altri percorsi di educazione alla vita e alla fede cristiana (catecumenato adulti, iniziazione catecumenale dei fanciulli, percorsi di fede per“ricomincianti”, cresime per adulti, itinerari per il matrimonio cristiano, ecc.- vedi in proposito le tre Note pastorali della CEI), sono temi e percorsi sperimentati sul campo nelle Diocesi italiane, e siamo in attesa di tali Orientamenti pastorali per mettere a frutto “la vitalità espressa nei Convegni Regionali del 2012, che hanno mostrato nei contributi emersi anche in pubblicazioni, apparsi a diversi livelli su varie Riviste scientifiche e pastorali, come una convergenza pastorale sia possibile” (idem come sopra,  Mariano Crociata).
Grazie a questa proposizione dei padri sinodali, la riflessione e l’approfondimento sul presente tema, si amplia anche alla Chiesa universale dove, peraltro, già nel Direttorio Generale per la Catechesi (LEV,Congregazione per il Clero, 1997), si trovano  indicazioni autorevoli e importanti in merito.
 
 
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n. 36: La dimensione spirituale della Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 36: DIMENSIONE SPIRITUALE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


L'agente principale dell'evangelizzazione è lo Spirito Santo, che apre i cuori e li converte a Dio. L'esperienza di incontrare il Signore Gesù, resa possibile dallo Spirito che ci introduce nella vita trinitaria, accolta in uno spirito di  adorazione, di supplica e di lode, deve essere fondamentale in tutti gli aspetti della nuova evangelizzazione, che viene nutrita continuamente attraverso la preghiera, cominciando con la liturgia, in particolare l'Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Di conseguenza, proponiamo che la preghiera venga incoraggiata ed insegnata sin dall'infanzia. I bambini e i giovani devono essere educati nella famiglia e nelle scuole a riconoscere la presenza di Dio nella loro vita, a lodarLo, a rendere grazie per i doni ricevuti da Lui e a chiedere allo Spirito Santo di guidarli.

S. Paolo nella lettera ai Romani (8,26-27) afferma: "Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio". Lo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose, fa nuova la cosa più importante di tutte che è la preghiera. La preghiera "nello Spirito" deve servire a rinnovare, nella Chiesa e in noi, soprattutto una cosa, e cioè il rapporto tra preghiera e azione, intendendo per "azione" ogni cosa che non sia la preghiera.

A volte si dice: "Prima si prega e poi si agisce", ma forse è meglio dire "Prima si prega e poi si fa ciò che è emerso dalla preghiera"! Per il dono del Battesimo, c'è in noi, come una vena segreta di preghiera, "un tesoro nascosto nel campo" del nostro cuore! Parlando di questa voce interiore dello Spirito, sant'Ignazio di Antiochia scriveva: "Sento in me un'acqua viva che mormora e dice "Vieni al Padre!". Questa vena interiore di preghiera, costituita dalla preghiera nello Spirito di Cristo in noi, rende viva e vera ogni altra forma di preghiera: quella di lode, quella di domanda, quella spontanea, quella liturgica. Soprattutto quella liturgica, il cui culmine è l'Eucaristia.

Quando noi preghiamo spontaneamente, con parole nostre, è lo Spirito che fa sua la nostra preghiera, ma quando preghiamo con le parole della Bibbia o della Liturgia, siamo noi che facciamo nostra la preghiera dello Spirito ed è cosa più sicura. Anche la preghiera silenziosa di contemplazione e di adorazione trova un incalcolabile giovamento a essere fatta nello Spirito. Questo è ciò che Gesù chiamava "adorare il Padre in Spirito e verità" (Gv 4,23).

Gli apostoli e i santi pregavano per sapere cosa fare e non semplicemente prima di fare una cosa. Occorre essere consapevoli che veramente è Dio che governa la Chiesa attraverso il suo Spirito, e che questi è l'artefice principale della missione ecclesiale e quindi della evangelizzazione. Sia Papa Benedetto XVI che Papa Francesco ci ricordano che la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo e Lui dobbiamo seguire!

Occorre "restituire il potere a Dio". Occorre riporre la fiducia in Dio non in noi stessi. Anche se a volte può sembrare che tutto resti come prima e che nessuna risposta evidente sia scaturita dalla preghiera, non è assolutamente vero. Con la preghiera, la questione è stata presentata a Dio, rimessa, per così dire, nelle sue mani; ci si è spogliati del proprio punto di vista, dei propri interessi: qualsiasi decisione si prenderà, sarà quella giusta davanti a Dio. Tanto maggiore è il tempo che si dedica alla preghiera, a proposito di un problema, tanto minore sarà poi il tempo che occorrerà per risolverlo. Per Gesù, pregare e agire non erano due cose separate. Pregava sempre e faceva sempre la volontà del Padre.

La Chiesa non è una barca a remi che avanza per la forza e la destrezza delle braccia di chi vi sta dentro, ma è una barca a vela che avanza per il vento che la spinge "dall'alto", quel vento di cui nessuno sa di dove viene né dove va (cfr Gv 3,8) e che si raccoglie con la vela della preghiera, ma che ha una direzione certa quella di Cristo Risorto il Signore della storia. 

S. Caterina da Siena pregava così: "O dolcissimo Amore, tu vedesti in te le necessità della Santa Chiesa e le hai apprestato il rimedio che le bisogna; esso è la preghiera dei tuoi servi, dei quali tu vuoi che si faccia un muro, con il quale sostenere il muro della Santa Chiesa. Sono quei servi ai quali la clemenza del tuo Spirito Santo infonde infuocati desideri per la riforma della stessa Chiesa" (Orazione VII).

Preghiamo anche noi così, perché lo Spirito Santo faccia di ciascuno di noi una "pietra viva", per costruire un muro di preghiera che sempre si eleva per sorreggere e proteggere la Chiesa che ha il mandato di annunciare Gesù Risorto, salvatore di tutti gli uomini.

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