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4 - LA (STRA)ORDINARIA ATTESA di scarcerazione

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IMG 20211114 WA0006Entro quasi quotidianamente nella Casa Circondariale Francesco Di Cataldo S. Vittore. Sì una casa che in realtà casa non è e non lo deve diventare! A fatica cerco di raggiungere il secondo piano (se mi vedono le donne degli altri piani spesso mi fermano e può succedere di non riuscire più a salire…) dove ci sono le “nuove giunte”: corpi stesi sulla branda nascosti dalle lenzuola o dalle coperte; mani che stringono le sbarre, occhi smarriti… Mi fermo davanti ad ogni cella, è la mia via Crucis che diviene via di piccole luci. È qui che un anno fa incontro Léna (nome di fantasia ma il cui significato mi riporta a lei, infatti vuol dire: respiro-fiato, vigore, forza, spirito di volontà, per reggere a fatiche o perseveranze nell’azione nel dare e infondere speranza ad altre), basta un saluto uno sguardo un sorriso e da piccoli gesti inizia un percorso, si cammina insieme verso una nuova vita. 
Léna raccontaci qualcosa di te.
Sono una donna, che ama i libri, mi piace studiare (avevo da poco ripreso l’università, anche se non più giovane). Ho lavorato anche con successo, poi la crisi e il lavoro che viene meno; una mamma anziana da accudire bisognosa di farmaci e una pensione che non basta…così mi sono ritrovata a perdermi su sentieri che mai avrei immaginato di percorrere ed ora eccomi qui: in attesa di una scarcerazione che sembra essere vicina ma anche che non so quando avverrà. 
Raccontaci l’attesa della scarcerazione.
Come si fa? Al solo pensiero dell’attesa di uscire il flusso delle emozioni, sensazioni, immagini, parole evocate è potentissimo. Più o meno razionale. Contrastanti. La voglia, il bisogno di andarsene e immaginare il momento fanno abbozzare un cauto sorriso. Sì cauto. Perché si sovrappone quasi contemporaneamente un timore: e se mi stessi illudendo? Se accadesse un imprevisto, ad esempio qualcuna che mi giocasse un brutto scherzo, del tipo detenuta rissosa che mi aggredisce con qualunque pretesto per sfogare la sua rabbia e se fossi costretta a difendermi? Ciaone i giorni di liberazione anticipata (45 ogni sei mesi, 90 per un anno). Oppure il Tribunale di Sorveglianza rigettasse una misura alternativa? Poi respiro, torno qui al presente. Razionalizzo. Se per 12 lunghi mesi sono riuscita a tenermi lontana dai guai, in un contesto in cui non è facile, posso farcela. Sono io ad avere un qualche potere su me stessa, finanche in condizione di cattività (costretta a fuori dal proprio ambiente). Dicevo dei 12 lunghi mesi… È proprio strano, il tempo scorre parallelo su due binari diversi in questo spazio. Mi sembra ieri di essere stata ingabbiata. Un battito di ciglia… E non esiste un “dentro” e un “fuori”… Le moltissime esperienze vissute in galera, negative e positive: il lavoro, il volontariato, le donne entrate e uscite, come impronte sulla sabbia che il mare cancella in un attimo. Eppure ci sono state!
Raccontaci cosa ti aiuta a vivere l’attesa con la speranza.
La presenza dell’assenza! Di chi è fuori e aspetta me. Di chi c’è ma è come se non ci fosse. Di chi c’era ed è come se non ci fosse mai stato. I progetti per il futuro, un lavoro in libreria o biblioteca. Un call center…. Chissà! So che spesse volte al mio risveglio rimango delusa, pensavo di aver dormito a casa, nel mio letto. Le voci che sentivo sembrano quelle di mia madre e di mia sorella, invece erano quelle della cella a fianco che preparavano il caffè.
Provo ad immaginarmi l’uscita dal portone principale, che sentirò? Che impatto avranno il cielo, il traffico, farà freddo, caldo, forse pioverà e non ho l’ombrello… Mi girerà la testa? Camminerò tranquilla verso la fermata della metropolitana o mi metterò a correre dall’impazienza di arrivare a casa? Forse guarderò attorno per qualche secondo prima di andar via, dopo averlo desiderato tanto. Poi cerco di pensarci più del necessario, intanto si va avanti. 
Vorrei andarmene senza applausi (quando qualcuno viene scarcerato, nella sezione risuona un forte e lungo applauso), senza dire addio. In silenzio. Ci sono situazioni in cui non occorrono parole. Perché ci si è detti il necessario, anche senza parlare e il non detto resterà tale, almeno per chi non sa leggere la metacomunicazione, ci si è conosciuti e misconosciuti…Ancora qui, in carcere, oggi.
Per me tenermi impegnata è fondamentale. Ho un bel lavoro in biblioteca e sentire che trovare o procurare quel che le altre donne desiderano leggere mi restituisce le energie e il senso alle giornate. Anche il volontariato fa molto, lo sportello di accoglienza per chi è appena arrivato in carcere, una sigaretta, aiutare a compilare un modulo per una richiesta e informare sul funzionamento quotidiano del penitenziario, come fare una telefonata, beh, significa tanto. Io lo so.
Vedersi di domenica, il giorno consacrato allo stare in famiglia, attorno allo stesso tavolo con donne che preparano e condividono generosamente il pasto. Pensare alle persone a cui voglio bene e che me ne vogliono (che non vedo l’ora di riabbracciare), le lezioni di Filosofia del Diritto, il supporto emotivo psicologico, le conversazioni con Chicca, il cortile con le piante da curare, spazzare il peso dell’autunno caduto insieme alle foglie secche. Vederle rifiorire a novembre. Le piccole grandi cose che nutrono la speranza. Tutto dà forza di andare avanti.
Grazie a Léna e alle tante persone che mi accolgono nel loro cammino e mi insegnano ad attendere anche le mie piccole “scarcerazioni”, sì perché ognuno di noi può sperimentare una pseudo-prigionìa. Per loro e con loro preghiamo con questo testo che, a volte, ho condiviso con loro: 

Regala ciò che non hai.
Occupati dei guai, dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te, la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso quando tu hai voglia di piangere.
Produci serenità dalla tempesta che hai dentro.
"Ecco, quello che non ho te lo dono".
Questo è il tuo paradosso.
Ti accorgerai che la gioia a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere, diventerà veramente tua nella misura
in cui l'avrai regalata agli altri. (A. Manzoni)

Chicca Sacchetti

 

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