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5. SAN GIUSEPPE: modello di genitorialità

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Cattura4Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera…. La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà.
“I figli non sono nostri, non ci appartengono, sono un dono del Signore!”. Questa frase l’ho imparata da bambina, dal papà e dalla mamma: tante volte me la sono sentita dire con convinzione e generosità, non so nemmeno bene io in quali circostanze veniva pronunciata, forse in occasione di qualche ricorrenza o di qualche scelta piccola che allena alle grandi decisioni della vita. Per questo quando in casa ho detto che sarei partita per entrare in noviziato non avevo grandi paure e non temevo ostacoli.
Credo che, parafrasando le parole del Papa, erano davvero convinti che un figlio non debba essere trattenuto, imprigionato, posseduto: “occorre renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze”.
Papà ci teneva molto allo studio e considerava la mia scelta universitaria quasi un suo personale motivo di orgoglio: a due mesi dalla laurea sono partita per il noviziato… lasciando la tesi in bella mostra sulla libreria di casa! Da lui credo di avere imparato cosa significa “rinunciare a vivere la vita dei figli” per spalancare “spazi all’inedito”. Negli anni questo stile non è cambiato, nonostante l’avanzare dell’età e del bisogno di cura. Anche nella lunga malattia, papà mi diceva sempre che la mia ‘missione’ veniva prima delle sue esigenze.
Imparare ad amare è un obiettivo di una vita intera: anche Giuseppe avrà dovuto imparare a vivere la sua castità, come “atteggiamento che esprime il contrario del possesso”nella libertà di ‘ritirarsi’ per dare spazio all’altro. Per questo è bello pensare che di Giuseppe nel vangelo ad un certo punto non c’è più bisogno di raccontare: col figlio ‘diventato grande’ termina il suo compito di genitore. Jan Dobraczyński, autore del romanzo “L’ombra del padre” sulla figura di Giuseppe (citato nella Patris Corde dallo stesso Pontefice), termina il suo capolavoro proprio con l’episodio di Gesù smarrito e ritrovato al tempio. “Tutto ciò che possiedo – fa dire al protagonista della storia – l’ho ottenuto per volontà dell’Altissimo. Dovevo essere un’ombra. Quando il sole si erge allo zenith, le ombre scompaiono (...). Forse Egli [Gesù dodicenne] è scomparso perché io sappia che è il momento per me di sparire”. Da Giuseppe imparo anche io – allora - quando arriva il momento di ‘lasciare andare’: in una relazione, in un rapporto educativo, nelle circostanze che la vita pone davanti. Intuisco che anche nel rapporto formativo che nasce in oratorio o in parrocchia con i ragazzi o gli adolescenti occorre favorire le partenze, educarsi a libertà. È bellissimo riconoscerlo nei giovani che ho visto crescere durante i servizi pastorali che si sono distesi negli anni: quando il rapporto diventa ‘alla pari’ si intuisce che è il momento per affidare responsabilità importanti, delegare ad altri, ‘ritirarsi’ perché altri possano trasmettere vita, crescere, educare, diventare genitori.
Maria Teresa Villa
Parrocchia San Marziano
San Giuliano Milanese
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