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Avvento 2016/2: In attesa di giustizia - Tamar

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tamarLo chiamano “il mestiere più antico del mondo”, per mitigarne il carico. Ma le parole, contro chi lo pratica, sono scagliate come pesanti macigni. Le ho sentite addosso a me, condannata al rogo insieme ai due piccoli, rannicchiati nelle mie viscere da soli tre mesi. Il mio nome, Tamar, significa palma, pianta dai frutti svettanti nel cielo. Non so dire se sia presagio delle lunghe e sofferte attese di fecondità, o profezia benedicente della scelta di Dio, di venire nella storia anche attraverso di me.
Figli di un unico padre sono gli uomini malvagi che ho conosciuto e che il Signore ha preso presto con sé. Data come sposa a chi faceva il male, prima, umiliata da una relazione falsata d’amore, poi. Potevo davvero credere alla promessa di Giuda, che il passare del tempo sarebbe bastato, prima di unirmi all’ultimo dei suoi figli, per poter tornare a sperare?
Il mio grembo, traboccante di dolore, ardeva da sé, senza bisogno di fuoco. Non bruciavo di rancore, ma ero infiammata dall’attesa di giustizia. Di più, di essere riconosciuta giusta!
Chi infatti non vede il mio volto si sbaglia. Ma gli occhi del Signore sono attenti e colgono tanto il male compiuto, come l’astuzia di chi, pur vestendo gli abiti da peccatrice, mantiene libero il cuore. Sulla strada avviene l’incontro, camuffato da un rapporto fugace e destinato a cambiare le sorti per sempre. Non solo le mie! Restituisco così a Giuda, insieme alla capacità di ammettere la colpa, anche due figli, che nuovi, riceve dal Signore.
La promessa di Dio trionfa sul peccato e feconda la storia a favore dell’uomo. Per questa strada infatti, sceglie, ancora oggi, di venire al mondo il Signore Gesù. Mascherato da bimbo. E non si tratta di un inganno!
Silvia Meroni, Ausiliaria diocesana, San Giuliano Milanese
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