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5.La percezione netta di averlo incontrato

Data pubblicazione
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Giovanna Agostini, 41 anni, è ausiliaria diocesana dal 2005. Vive in comunità a Seveso e si occupa, prevalentemente, di  Pastorale giovanile nella Comunità Pastorale S.Giovanni Paolo II di Seregno. 
 
Hai appena portato tuo figlio va a scuola: lo vedi entrare, mescolato insieme a tutti gli altri. E ora sei in fila al semaforo, già in attesa, del verde. E, mentre  aspetti, vedi la gente che  esce dal supermercato con le borse piene di verdura fresca e, forse, tutto quell’altro che serve per la cena tra amici, stasera. Sembra la normalità, ma per te non lo è. E quando lo sarà? Questa, per molte famiglie, per molti padri e madri di famiglia, non è la normalità.
Essa è fatta, piuttosto, di attese estenuanti della fine del mese, della busta paga che, non appena arriva tra le mani, si è già consumata nei tanti oneri, scadenze, bisogni impellenti…; di attese difficili da giustificare agli occhi, alle domande, alle provocazioni dei figli che crescono e chiedono. 
Situazioni  di indigenza che mozzano il fiato, davanti alle quali ogni aiuto risulta insufficiente, giusto un tampone che, per un attimo, ritarda la pressione concedendo l’illusione di un po’ di respiro
E’ la condizione di molte persone che abitano nelle case vicino alle nostre, accanto alle mura  delle nostre parrocchie, dei nostri oratori. Nascostamente vivono in attesa di una normalità che difficilmente arriverà.
E quando però, talvolta, si riesce a varcare una soglia di queste mura, ecco che si scopre un’altra attesa, più profonda, più complessa: l’attesa di un dialogo, di una relazione che rimetta tutto dentro uno sguardo più ampio, di un ascolto che accetti di collocare quanto sta accadendo dentro una storia passata, un presente in atto, una speranza futura.  Si intuisce che la forza di credere in una dimensione di più profonda e condivisa umanità resiste, non muore, sostiene.
E’ la forza che è fatta delle stesse attese che ognuno di noi desidera vedere riconosciute dagli altri: l’attesa di essere considerati persone comunque  e non  personaggi realizzati o falliti; l’attesa di essere incontrati come soggetti capaci di un ricevere ma anche di un dare e non semplici portatori di un bisogno da colmare; l’attesa di essere aiutati a coltivare una speranza che si possa tornare a scrivere dritto sulle righe storte che ogni vita prima o poi trova sulle pagine del suo libro. 
Sono attese che ci riportano a noi, che forse anche in noi ogni tanto fanno capolino quando siamo fermi al semaforo o stiamo togliendo le nostre borse dal carrello…
Non a caso il Signore ha scelto, credo, di nascere e vivere povero.
Non a caso, tutte le volte che esco da alcune di quelle mura ho la percezione netta di averlo incontrato, chiedendogli di farsi carne in tutti coloro che, nelle diverse povertà della vita, lui ha scelto come i suoi preferiti.  
 
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