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n.17: Preamboli della fede e teologia della credibilità

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PROPOSIZIONE 17: PREAMBOLI DELLA FEDE E TEOLOGIA DELLA CREDIBILITÀ
Nel contesto contemporaneo di una cultura globale, molti dubbi ed ostacoli causano un esteso scetticismo ed introducono nuovi paradigmi di pensiero e vita. E’ di importanza capitale, per una Nuova evangelizzazione, sottolineare il ruolo dei preamboli della fede. E’ necessario non solo mostrare che la fede non si oppone alla ragione, ma anche di mettere in evidenza un numero di verità e realtà che appartengono ad una antropologia corretta, illuminata dalla ragione naturale.
Tra questi, c’è il valore della Legge naturale e le conseguenze che ha per la società intera. Le nozioni di “Legge naturale”e “natura umana” sono capaci di dimostrazioni razionali, sia a livello accademico che popolare. Tale sviluppo ed impresa intellettuale aiuteranno il dialogo tra fedeli cristiani e persone di buona volontà, aprendo un cammino per riconoscere l’esistenza di un Dio Creatore e il messaggio di Gesù Cristo Redentore.
I padri sinodali domandano ai teologi di sviluppare una nuova apologetica del pensiero cristiano, ossia una teologia della credibilità adeguata ad una nuova evangelizzazione.
Il Sinodo lancia un appello ai teologi di accettare e rispondere alle sfide intellettuali della Nuova Evangelizzazione partecipando alla missione della Chiesa di proclamare a tutti il Vangelo di Cristo.

“La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso interno e per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti” (GS n. 17).
Nel suo tendere a Dio, a colui che “solo è buono”, l’uomo deve liberamente compiere il bene ed evitare il male. Ma per questo l’uomo deve distinguere il bene dal male. Ed è quanto avviene, innanzitutto, grazie alla luce della ragione naturale, riflesso nell’uomo dello splendore di Dio. Per Legge naturale s’intende “ciò non in rapporto alla natura degli essere irrazionali, ma perché la ragione che promulga tale legge è propria della natura umana” (cfr CCC n. 1955).
Il beato Giovanni Paolo II ha affrontato questa tematica in due Lettere encicliche, nella Veritatis Splendor (1993) e nella Fides et Ratio (1998), ma si deve indubbiamente a Benedetto XVI un approfondimento più puntuale e allargato sulla tematica trattata da questa proposizione n. 17.
Infatti, uno dei tratti più peculiari, nella testimonianza di Papa Benedetto XVI, è proprio il suo contributo originale al mondo contemporaneo. Un mondo segnato in maniera pervasiva dal dramma del nichilismo realizzato, nel quale diviene dapprima problematico, poi confuso e infine bloccato il nesso vitale tra l’io e il senso della realtà o tra la ragione e la verità. Questo tratto peculiare consiste nella riproposizione instancabile di una domanda decisiva da parte del Papa: se cioè l’uomo sia ancora capace di conoscere il Mistero dell’essere e disponibile alla possibilità che questo Mistero si faccia riconoscere in una forma concreta, reale, storica. Si tratta di una domanda completamente archiviata dalla cultura contemporanea, per cui la conoscenza è ridotta ad un processo di misurazione o ad una tecnica di gestione del mondo, e il Mistero viene confinato al di là del reale oppure semplicemente si frange e si dissolve nelle nostre interpretazioni (vedi discorso Incontro con i rappresentanti della scienza, Regensburg, 2006). E la verità delle cose o è un prodotto in nostro potere o semplicemente non è.
Qui è il “deserto” che Papa Benedetto XVI vuole attraversare e condividere come un “pellegrino”, come ha detto all’inizio dell’Anno della Fede.
Egli ha fatto vedere, partendo dalla sua personale esperienza, che la ragione dell’uomo non si accontenta mai di tale soluzione, perché è “intessuta” di quella domanda di realtà, come un bisogno infinito di essere (il quaerere Deum di cui ha parlato nel grande discorso parigino ai Bernardins nel 2008).
Quest’attesa, questa possibilità della nostra ragione è il segno che essa consiste in un rapporto con il Mistero presente. Un rapporto che non è dato una volta per tutte, ma rinasce, o può rinascere di continuo, a partire da un fatto che riaccade: l’incontro – attraverso cose, eventi, persone – con il Logos divino che mi crea e mi vuole in un gesto “amoroso”, in cui è affermato il valore irriducibile e irripetibile di me.
Come il Papa disse al Convegno Ecclesiale di Verona nel 2006, qui “viene capovolta la tendere a dare il primato all’irrazionale”, per cui anche la nostra intelligenza e la nostra libertà sarebbero solo il prodotto di un “caso” necessario e la nostra stessa ricerca sarebbe un’attesa inutile e vana. Solo se la Razionalità non è un’idea iperurania o una costruzione mentale, ma una Persona vivente, Gesù Cristo, acquista rilievo e forza la ragione di ogni persona, nella stupefacente corrispondenza tra la nostra capacità di conoscere il mondo ed il carattere intelligibile, sensato, della realtà che ci viene incontro.
Per dirla con il suo amato Agostino, l’esperienza della verità si fonda sull’essere “presi”, conquistati ogni volta da essa: e il segno di questa esperienza è il “gusto” la “gioia” che essa fa nascere in noi: gaudium de veritate. Solo arrivando al vero, seguendo il suo “tocco”, possiamo scoprire affettivamente la portata incommensurabile del nostro “io”; ma anche la verità non rimane astrattamente in sé, al di fuori di questo rapporto: essa ha bisogno proprio di me, di ciascuno di noi, per accadere sempre di nuovo!

E’ la sfida che i padri sinodali lanciano anche ai teologi perché nei loro studi promuovano una nuova apologetica del pensiero cristiano.

Maria Grazia R.

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