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3. Fraternità come relazioni gratuite: l’ordinarietà della nostra vita

2“…se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna». Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo” (Ft 277)
Forse queste splendide parole di Papa Francesco poste quasi a conclusione dell’enciclica “Fratelli tutti” possono essere indicate come ciò a cui noi tutte vorremmo anelare nel vivere pienamente la nostra vocazione di Ausiliarie diocesane! Il Vangelo che risuona nelle case, nelle piazze, dove si lavora, nei luoghi ordinari della vita, dove uomini e donne vivono e lottano ogni giorno. A noi, Ausiliare diocesane, piace pensare che un vangelo così possa essere seminato nella santità quotidiana presente e operante nei luoghi in cui viviamo e spendiamo la vita.
Papa Francesco, fin dalle prime battute, consegna il segreto per una vita realizzata in questi termini. “Nessuno può affrontare la vita in modo isolato”. Solo così si sogna un’unica umanità, si è viandanti fatti della stessa carne umana, figli della stessa terra che ospita tutti, con la ricchezza della propria fede e convinzioni, ciascuno con la propria voce (cfr. Ft 8). “C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! (…) Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme”. È bello potere credere che questo si possa realizzare anche nella consegna di sé che - come donne consacrate coi voti di povertà, castità e obbedienza - abbiamo scelto: e per noi vale sia nella vita comune quotidiana che nel servizio pastorale che ritma la giornata ed il tempo. Sogniamo di essere come un’unica umanità, viandanti fatti della stessa carne umana, figli della stessa terra che ospita tutti.


Nel tratteggiare la parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37) il Papa sottolinea come “uno si è fermato, gli ha dato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui”. (Ft 63). Il dono più grande che gli ha fatto è però stato quello del tempo, al di là dei suoi programmi, bisogni, impegni o desideri… Mi piace pensare che anche noi Ausiliarie, libere da impegni stringenti di famiglia e figli, siamo chiamate a dedicare le nostre migliori energie agli altri. Chi è allora per noi il ‘prossimo’ della parabola? I piccoli e fragili degli oratori che animiamo, i poveri che incontriamo nelle Caritas parrocchiali, le famiglie in difficoltà, i fedeli che - celebrando la fede e la vita - desiderano attingere nelle assemblee eucaristiche la pace vera ed una quotidiana serenità. Tutte queste ‘categorie’ di persone sono degne di ricevere il dono del nostro tempo, di essere ascoltate ed accompagnate.“Il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia.” (Ft 48) L’esempio del Santo di Assisi traspare in tutto il testo dell’enciclica e può essere di aiuto: Francesco ha saputo ascoltare la voce di Dio, quella del povero, del malato, della natura… Certo c’è distanza tra il desiderio di essere come lui e la realizzazione pratica, ma la tensione, il desiderio grande di potere diventare così sorreggono le scelte di ogni giorno, pur nella consapevolezza che si è ancora “analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate” (Ft 64).
Papa Francesco arriva a parlare della vocazione di ciascuno a diventare costruttori di un nuovo legame sociale per il perseguimento del bene comune. La strada è la consapevolezza che “L’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro” (Ft 66).
Molto bello è poi l’intero capitolo 3 dell’Enciclica che esordisce raccontando della necessità di avere dei volti concreti da amare: sono essi che permettono di creare legami, comunione, fratellanza… relazioni capaci di fare uscire da sé per aprirsi all’altro. La vita non può essere ridotta alle relazioni con un piccolo gruppo, nemmeno a quello con la famiglia. “L’amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le forme più nobili di amicizia abitano cuori che si lasciano completare.” (Ft 89). Si tratta di creare una progressiva apertura all’amore, una maggiore capacità di aprirsi agli altri per fare convergere tutte le periferie verso una piena appartenenza (Ft 95). Il Papa richiama così alla gratuità su cui è sempre importante interrogarsi: è la capacità di fare alcune cose solo perché sono buone, senza sperare di ricavarne risultati o qualche cosa in cambio (Ft 139) “Abbiamo ricevuto la vita gratis, non abbiamo pagato per essa” (Ft 140). Così diceva già Gesù: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). E questo vale fino in fondo: “… se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (Ft 195)
Le domande conclusive del capitolo 5°, riservato alla migliore politica, meritano di essere oggetto di intensa riflessione, non solo per gli uomini dediti al bene comune, ma per chiunque ha scelto di dedicare la vita a Dio e agli altri nella forma della consacrazione evangelica. “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?” (Ft 197)
Infine, citando il grande filosofo Aristotele, Papa Francesco ricorda che anche la Chiesa non può rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza. “Non aspira a competere per poteri terreni, bensì ad offrirsi come una famiglia tra le famiglie […] aperta a testimoniare […] al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte aperte. […] una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione” (Ft 276). Una Chiesa che esce, che getta ponti, abbatte muri e semina pace! A questa Chiesa sono contenta di avere consegnato gratis la vita.

Maria Teresa Villa, Sesto Ulteriano-Parrocchia San Marziano
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