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ANDARE IN PROFONDITA'/5: Quello che le donne vedono: tra croce e sepolcro

Quando Gesù muore i suoi discepoli non ci sono. Pietro, che aveva tentato di seguirlo da lontano nella passione, è rimasto scandalizzato. Forse egli è ancora presente anche nel luogo del Cranio, tra quelli che stanno lontano (cfr. Lc 23,49), ma non se ne fa menzione. La lontananza e l’assenza, in ogni caso, esprimono entrambe la fatica a riconoscere colui nel quale si erano riposte tutte le speranze in quell’uomo crocifisso e ormai morto. L’immagine che si ha di Dio come Dio potente, infatti, talora può impedire di riconoscere davvero Dio.

La croce è certamente un banco di prova per ogni discepolo. È lì che si vedono i veri discepoli, quelli che – anziché fuggire – vengono alla luce e tra i discepoli che si rivelano tali solo in questo momento, oltre a Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, c’è un gruppo di donne.

Non sono le donne di Gerusalemme, che hanno accompagnato la salita di Gesù al Calvario, piangendone la sventura: dopo la morte di Gesù, esse, che sono ripiegate nel lamento, non vengono più nominate. Al loro posto emergono altre donne, cui il Vangelo attribuisce le azioni tipiche dei discepoli. Nel Vangelo di Luca la loro presenza con i Dodici era stata ricordata fin dal capitolo 8, ma solo ora si dice che queste donne «avevano seguito» Gesù fin dalla Galilea, come i discepoli. «Seguire», infatti, è il verbo tipico del discepolo.

Se i discepoli maschi sono fuggiti, quindi, le discepole vengono alla luce pienamente nel momento della morte e della sepoltura di Gesù. Tale momento diventa per loro, che da lui erano state curate, l’occasione per rendere totalmente reciproco il loro servizio a Gesù, nella cifra della cura della sua debolezza e del suo corpo.

Che cosa fanno le donne in questo momento?

Se dei discepoli maschi i vangeli ricordano il fuggire (Mt 26,56; Mc 14,50-52), concorde è la loro testimonianza del rimanere delle donne, tanto prima (Mt 27, 55-56; Mc 15,40; Lc 23,49; Gv 19,25), quanto dopo la morte (Mt 27,61, Mc 15,47; Lc 23,55-56). Presenti sul Calvario al momento della morte di Gesù e alla sua sepoltura, le discepole sono una presenza che affianca, secondo il Quarto Vangelo, quella della madre di Gesù: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala» (Gv 19,25).

In contrasto coi discepoli assenti o lontani (Lc 23,49), la presenza delle donne al Calvario è connotata da quella fedeltà stabile e resistente, che sa stare davanti al dolore in un’attesa vigile e partecipe.

Nel racconto di Luca (che trovate qui sotto) esse sono presenti dopo la morte di Gesù al v. 49 e poi ancora alla sepoltura, al v.  55: guardano e osservano la scena. Una traduzione più precisa del v. 49 dovrebbe mettere in risalto che c’è una differenza tra i conoscenti che «stavano da lontano» e le donne che «stavano ad osservare». Il verbo osservare, infatti, in greco è espresso da un participio femminile: mentre i discepoli stanno lontani, le donne stanno ad osservare: è il loro modo di stare; rimangono contemplando.

Il loro sguardo contemplativo, che cerca di non perdere il contatto visivo con Gesù mentre Giuseppe lo porta via, accompagna anche la sepoltura del maestro (Mc 15,47; Lc 23,55), con semplicità quasi passiva.

Le donne sono preoccupate di ciò che avviene del corpo di Gesù, di «come» viene posto (è una cura tutta femminile questa che indica una profondissima relazione) e progettano di completarne, una volta passato il riposo del sabato, le operazioni di imbalsamazione, perché venga meglio conservato nella morte. Da una parte esse, quindi, autenticano il decesso, dall’altra, però, testimoniano che c’è qualcosa che deve ancora avvenire.

E poi aspettano.

Apparentemente, tra croce e sepolcro, le donne non hanno un ruolo preciso: non contribuiscono in nulla all’azione. Nella misura in cui, però, sono collegate con quanto accaduto e lo osservano, ne diventano testimoni al posto dei discepoli assenti o lontani.

Proviamo anche noi a fermarci sul Calvario e a «stare». Proviamo a contemplare l’amore crocifisso e a coltivare la nostalgia di lui. Ci sembrerà forse di non far nulla e di buttare via il tempo. Contemplare la passione di Gesù, stare davanti alla croce, seguirlo fino al sepolcro è un cammino che assomiglia a un processo di lutto, ad una notte oscura, quasi passiva. S. Giovanni della Croce ci insegna, però, che la «notte oscura» è la notte dell’intimità, che fa entrare in più profonda comunione con l’Amato e che trasforma in lui

                                                                                                                          Laura Invernizzi, Ausiliaria Diocesana

Dal vangelo di Luca (23,47-56)

 47   Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto».  48 Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto.  49 Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

50   Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto.  51 Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio.  52 Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.  53 Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto.  54 Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato.  55 Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù,  56 poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

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